La Corea del Sud sembra essere pronta, gli altri chissà. Gli europei, i principali interessati ai Giochi invernali, dovranno fare i conti con otto ore di fuso orario per vedere i loro atleti all’opera a Pyeongchang, nella sperduta provincia di Gangwon, a 180 chilometri a est della capitale Seul. D’altro canto non è stato così facile trovare qualcuno che li organizzasse e ancora peggio è andata per l’edizione del 2022, che andrà in scena a Pechino, ancora in Asia, quindi: l’altra candidata era Almaty, la città più popolosa del Kazakistan che sorge sulle pendici dei monti Trans-Ili Alatau.
I coreani si erano ripromessi di tornare sugli standard economici di Vancouver 2010 (9 i miliardi di dollari investiti dai canadesi) ma secondo quanto sostenuto dal quotidiano The Philippine Star arriveranno a sfiorare i 13 miliardi di dollari di spese, un terzo in più di quanto era stato preventivato al momento dell’assegnazione. Cifre molto distanti, peraltro, da quelle che hanno caratterizzato l’edizione andata in scena a Sochi, in Russia, quattro anni fa: circa 38 miliardi di euro.
Kim Jong-un, il dittatore della Corea del Nord, ha detto sì all’accordo per far sfilare fianco a fianco gli atleti delle due Coree durante la manifestazione d’apertura: saranno uniti sotto la stessa bandiera. La più alta carica dello stato nord coreano, dopo Kim Jong-un naturalmente, attraverserà il confine e si recherà in Corea del Sud per tre giorni, in occasione delle Olimpiadi invernali. E’ Kim Yong-nam, leader cerimoniale nordcoreano e presidente dell’Assemblea suprema del popolo. Si tratta di un segnale positivo: è la prima volta che accade dal 1953, quando terminò la guerra tra le Coree, anche per l’ufficio della presidenza della Corea del Sud, che ha letto la presenza di Kim come grande segnale circa potenziali futuri negoziati.
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