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Mondiali, Ibrahimovic snobba l'Italia: "Tiferò per Ancelotti". E ora da dirigente difende le tante partite

Gli azzurri avranno un sostenitore in meno in caso di qualificazione alla rassegna iridata. Zlatan spiega la sua visione sul calcio attuale, diversa da quando era in campo.

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Alessio Raicaldo

Alessio Raicaldo

Sport Specialist

Un figlio che si chiama Diego e la tesi di laurea sugli stadi di proprietà in Italia. Il calcio quale filo conduttore irrinunciabile tra passione e professione. Per Virgilio Sport indaga, approfondisce e scandaglia l'universo mondo dello sport per antonomasia

L’esuberanza gli è rimasta: da questo punto di vista Zlatan Ibrahimovic è la stessa persona ammirata in campo anche oggi che le scarpette al chiodo le ha ormai appese da un pezzo. Da dirigente, però, l’adrenalina è chiaramente minore e il ruolo impone anche una certa riflessività con maggior peso da attribuire ad ogni parola. Lo svedese si prepara al Mondiale che non vedrà la sua nazionale tra le protagoniste: “Tiferò Brasile per Ancelotti“, confessa in barba all’Italia e all’amico Rino Gattuso.

Forza Brasile: l’inatteso messaggio di Zlatan

L’Italia si prepara alla doppia sfida contro Estonia e Israele con l’obiettivo di strappare il pass per i prossimi Mondiali, possibilmente senza passare attraverso gli spareggi. C’è però chi nel frattempo ha già deciso che in ogni caso non farà il tifo per gli azzurri alla manifestazione iridata. Si tratta di Zlatan Ibrahimovic, apprezzato campione che proprio nel Belpaese ha avuto le gioie più grandi della sua carriera che ha tuttora ricopre il ruolo di dirigente nel Milan.

La motivazione è però di affetto, quello nei confronti di papà Carletto al quale è stata affidata la missione di riportare in alto i colori verdeoro. Eh, già: Ibrahimovic tiferà Brasile per Ancelotti, con buona pace di Rino Gattuso con cui comunque ha condiviso annate in rossonero. Lo svedese approfitterà del fatto che la sua nazionale abbia già abbandonato ogni speranza di raggiungere Messico, Canada e Stati Uniti.

Dal campo alla scrivania: la nuova vita di Zlatan

Da calciatore a dirigente, dal campo alla scrivania. Il passaggio non è certamente facile né scontato, per chi per anni ha trovato linfa dalla passione dei tifosi (sia pro che contro). Lo step però aiuta a capire meglio certe dinamiche del calcio, che magari presi dal rettangolo di gioco prima sfuggivano. Certo, l’adrenalina un po’ è scomparsa, sostituita però da una maggiore consapevolezza: “Per me è un modo nuovo di vedere le cose perché da calciatore pensavo: ‘Perché non possiamo fare questo? Perché non possiamo fare quello?’. Ora dall’altra parte del tavolo capisco tutto e sono più realista“, spiega lo svedese.

Si gioca troppo? Non secondo Ibra

Oggi si gioca troppo, in tanti si lamentano ma non Zlatan. “Io volevo giocare il più possibile. Quando ci sono meno gare, la gente vuole più match, mentre quando ce ne sono tante le persone si lamentano per le troppe partite. Io credo sia positivo per i calciatori giocare molti incontri“, spiega il 44enne di Malmö. Certo, un equilibrio va trovato nell’interesse degli stessi giocatori: “Ovviamente bisogna proteggerli e organizzare tutto bene, fare un calendario adatto alle loro esigenze. Ogni squadra ha 25 giocatori circa, ma possono essercene anche più di 25. Di conseguenza se non usi tutti e ti fossilizzi sempre con gli stessi 11 può essere difficile”.

In mezzo a questo marasma ci sono pure le nazionali, tutt’altro che un impiccio: “Giochi con orgoglio perché rappresenti il tuo paese, ma pure qui vanno rispettate le esigenze dei calciatori. Se i calendari sono sensati tutto è possibile. Per esempio, il format della Champions è un’idea fantastica perché il pubblico vuole più partite. Non sono preoccupato, allenamenti e preparazione sono a livelli davvero alti“.

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