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Petrachi: "Io mortificato dalla Roma"

L'ex ds giallorosso torna a parlare della sfortunata esperienza nella Capitale: "A dicembre hanno iniziato a scavarmi la fossa".

02-10-2020 20:24

Petrachi: "Io mortificato dalla Roma" Fonte: Getty Images

Il rapporto tra la Roma e Gianluca Petrachi si è concluso nel peggiore dei modi: lettera di licenziamento per giusta causa e ruolo affidato in via temporanea a Morgan De Sanctis, stretto collaboratore del CEO Guido Fienga.

L’ex dirigente del Torino è tornato a parlare di questo tema scottante, togliendosi qualche sassolino dalla scarpa ai microfoni di ‘Radio Radio’: tanta la delusione per non aver avuto la possibilità di proseguire in un progetto ambizioso.

“Mi sono sentito mortificato. Avevo tanto entusiasmo e penso che fosse visibile a tutti. Ho creduto tanto nel progetto, per venire qui ho avuto una diatriba con il mio ex presidente. Io volevo venire alla Roma e pensavo di poter cambiare qualcosa”.

Le incomprensioni con l’ambiente hanno fatto sì che l’avventura si interrompesse proprio sul più bello.

“Volevo far terminare situazioni che accadevano frequentemente, c’era gente che stava lì e sostanzialmente non faceva nulla. Volevo far capire che per vincere bisogna partire dalle fondamenta. Alla Roma non c’è mai stata unione e compattezza, c’erano tante persone che parlavano dietro”.

Le prime avvisaglie di burrasca Petrachi le ha avvertite a dicembre 2019.

“Ad un certo punto ho chiesto alla mia persona di riferimento se il presidente fosse felice del mio operato. Io non parlo bene l’inglese e con Pallotta mi sono confrontato solo 2-3 volte. Gli veniva raccontato tutto, ma non so cosa. Prima di Natale inviai un messaggio a Pallotta che non mi ha mai risposto e ci sono rimasto male. In quel momento ho capito che stavano scavando la mia fossa, volevano distruggermi in maniera subdola. Ho cercato di andare avanti per la mia strada tentando di fare i cambiamenti che mi ero preposto di fare. Ho capito che dovevo sperare finisse il campionato per guardare in faccia determinate persone: o si faceva come dicevo io o dovevano mandarmi via”.

Il messaggio inviato a Pallotta era più una ‘richiesta d’aiuto’ che altro.

“Era un grido d’aiuto, come a voler dire ‘proteggimi, dammi la forza perché sto lavorando per te’. La mia sarebbe stata una morte lenta come avvenuto per altri allenatori passati di qua. Alla carnalità dei tifosi si dà poca importanza, per loro la Roma è una fede. Forse a loro non vengono dette le cose in faccia. La mia colpa, forse, è quella di essere stato troppo chiaro con la gente e il tifoso. C’erano dei topolini come sosteneva il buon Spalletti”.

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