In questa kermesse sanremese, abbiamo già assistito all’assurda performance di Blanco che ha esercitato le proprie qualità tecniche sul palco dell’Ariston per tirare calci contro fiori e allestimento, in un quadro che di punk non aveva nulla. Solo maleducazione e arroganza, oltre che ingiustificata esaltazione.
- Sanremo 2023: la perfomance distruttiva di Blanco
- L'intoppo dell'audio e la distruzione del palco
- L'esempio di Gianni Morandi, Amadeus impreparato
- Blanco: un passato da talento del calcio
- Blanco quando era Fabbro: il racconto del suo allenatore
- Blanco e il calcio: un mondo lasciato con la pandemia
Sanremo 2023: la perfomance distruttiva di Blanco
La scena a cui abbiamo assistito e che ha visto il vincitore uscente Blanco è stata quanto di più trash andato in onda fino a quel momento. «Era dai tempi di Bugo e Morgan…» , ha detto Amadeus che aveva inaugurato con Benigni, Mattarella e il minuto di silenzio per le vittime in Turchia il suo Festival (da record di ascolti, alla prima serata).
Tornato sul palco dell’Ariston dopo essersi esibito con Mahmood ad inizio serata, Blanco aveva appena iniziato a cantare il suo nuovo singolo «L’Isola delle Rose» quando un problema tecnico – che non ha certo toccato i telespettatori – l’ha fatto infuriare.
L’intoppo dell’audio e la distruzione del palco
L’esempio di Gianni Morandi, Amadeus impreparato
Rimane l’esempio di Gianni Morandi che con le sue primavere e la sua chitarra ha deciso di mettersi all’opera. “Hai combinato un guaio”, ha commentato Amadeus, che in un primo momento ha comunque invitato Blanco a tornare a esibirsi, senza valutare l’ostilità dei presenti in platea (e da casa).
Se Chiara Ferragni ha diviso, con il suo monologo che rivendica a livello autoriale, Blanco ha uniformato il giudizio (negativo) nei suoi riguardi da parte del pubblico tutto, sui social e non solo, per questa sua spropositata gestione del momento.
Blanco: un passato da talento del calcio
Riccardo Fabbriconi, quando ancora non era Blanco, forse non avrebbe agito così per via di quella provincia che lo ha educato e cresciuto. Indossava una casacca importante nell’ambito di un territorio che lo ha cresciuto con i consueti rituali e cullato nella rete di una provincia sana, come quella che si affaccia sul meraviglioso Lago di Garda.
Classe 2003, difensore centrale arcigno, dotato di intelligenza tattica e situazionale come viene descritto dai suoi mentori calcistici avvicinati dal Corriere della Sera, ha militato a lungo nel Feralpisalò, una società che lo ha cresciuto fino al trasferimento a Padenghe, per completare il suo percorso in maglia Vighenzi.
Blanco quando era Fabbro: il racconto del suo allenatore
Il suo allenatore ha permesso che tornasse alla mente quel calcio di provincia, una passione intensa ma che ha preferito accantonare per dedicarsi alla musica. Vittorio Sandrini, tecnico giovanile della Vighenzi, lo ricorda meglio di tutti, perché quel momento lo visse in prima persona.
Aveva detto al Corsera:
“Chiese un incontro a me, che ero il suo mister da un paio di anni, e al responsabile del settore giovanile, Alberto Locatelli. Ci disse che si era sempre trovato molto bene, che gli sarebbe dispiaciuto lasciarci, ma che aveva scelto la musica. Non ci credemmo fino in fondo, quando ce lo confidò. Sapevamo che cantava, alcune tracce si potevano trovare sul suo canale YouTube, di ritorno dalle trasferte in pullman i ragazzi intonavano spesso “Notti in bianco”. Ma non avevamo compreso quanto per lui la cosa fosse seria, tanto che insistemmo perché provasse a fare entrambe le cose. Inizialmente accettò, poi ci pensò la pandemia a rendere definitiva la sua decisione”.
Il capitano degli Allievi Regionali Élite della Vighenzi, a pochi giorni dal compiere 17 anni, aveva fatto già dentro di sé un percorso e lo aveva condiviso: la pandemia lo ha stretto e si è visto in un ruolo differente, rispetto a quello di capitano in campo. Il suo spazio era altrove:
“Ancora adesso è una delle cose che mi stupisce maggiormente, perché non ne conosco tanti di suoi coetanei che abbiano avuto la sua convinzione nell’intraprendere con tutto sé stesso un percorso. Anche perché lui avrebbe lasciato una strada che gli dava prospettive, per un’altra che non portava con sé alcuna garanzia di successo”.
“Pensavo fosse uno scherzo, invece sette mesi dopo mi sono ritrovato ad ascoltare un suo pezzo in radio: ero in macchina, stavo guidando verso Montichiari, quando su Radio Zeta passarono “La canzone nostra”. Gli telefonai subito, colmo di emozione. La stessa provata martedì osservandolo in televisione. Una storia incredibile, penso che nemmeno lui potesse aspettarselo. Figuriamoci noi. L’importante è che abbia trovato il modo più congeniale per esprimere quello che ha dentro. Quello che fuori dal campo nascondeva, che in campo faceva intravedere, e che col microfono in mano sta mostrando a tutta Italia”.
Blanco e il calcio: un mondo lasciato con la pandemia
Prima di Blanco, e di quel che abbiamo purtroppo sorbito sul palco ieri sera c’era Fabbro. Così lo chiamavano sui campi di calcio, così lo chiamava il suo mister quando c’era da cambiare schema, immettersi in uno schema provato in allenamento. Sui siti di calcio della provincia di Brescia, zona in cui è nato e cresciuto, sono ancora tante le pagine dedicate a questo difensore centrale promettente.
Complice la pandemia, lo stop del calcio, il mondo interiore di Blanco si è risolto nelle qualità che aveva per la scrittura e l’attenzione alla composizione. Quella che potremmo ridurre a una sorta di attitudine, che nella rapcore si è ritrovato; ciò che lo ha aiutato ad avvicinarsi alla musica in via definitiva e a scegliere. Di abbandonarsi a quella dimensione appena intravista, con la divisa addosso.
E che è incompatibile con la brutta esibizione di ieri sera: se persi una partita è colpa di tutti, perché sei parte di una squadra e devi ragionare in funzione del gruppo. E non dell’ego.