In questa giornata, che segna una cesura profondissima tra il prima e il dopo, Fabrizio Miccoli si è costituito spontaneamente nel carcere di Rovigo, dopo essere stato condannato in via definitiva a tre anni e sei mesi di reclusione con l’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Una scelta, la sua, di allontanarsi.
Miccoli a Rovigo, perché ha deciso così
L’ex capitano del Palermo, l’attaccante Fabrizio Miccoli, si è spogliato della sua maglia e ha affrontato il processo e accettato la condanna confermata in Cassazione: è stato accompagnato in carcere dal proprio legale, Antonio Savoia, che ha lamentato la diffusione delle notizie che riguardavano il suo assistito prima ancora che gli venisse notificato l’ordine di esecuzione, dettaglio riferito dall’agenzia ANSA.
“E’ un uomo distrutto” ha commentato il suo avvocato. La decisione di costituirsi nel carcere veneto e non in quello di Lecce, dove risiede con la la famiglia, da quanto ha appreso l’ANSA, è riconducibile alla volontà dell’ex calciatore di “stare lontano il più possibile da tutto e da tutti”.
Miccoli, il processo
Miccoli era accusato di avere commissionato a Mauro Lauricella, figlio del boss della Kalsa Antonino detto “u scintilluni” – che sta già scontando in carcere una pena di 7 anni – il compito di recuperare 12mila euro dall’imprenditore Andrea Graffagnini, titolare della discoteca Paparazzi, per conto dell’ex fisioterapista del Palermo Giorgio Gasparini, il quale si sarebbe rivolto proprio all’ex capitano.
Poi l’ex giocatore aveva coinvolto Lauricella, con il quale era in rapporti quando indossava la maglia del club siciliano ed era un idolo della tifoseria rosanero.
Una vicenda processuale complessa, che lasciò emergere dalle intercettazioni tra Miccoli e il figlio del boss della Kalsa esternazioni sul giudice Giovanni Falcone, il quale fu definito dall’ex capitano “quel fango” mentre si trovava in via Notarbartolo, nei pressi della residenza del magistrato.
Le frasi su Falcon e le scuse pubbliche di Miccoli
Una vicenda processuale annosa e assai più devastante di quanto raccontato, per i diretti interessati e per quanto affiorò dalle indagini e che venne poi esplicitato nel corso del processo nei diversi gradi di giudizio. Rimase soprattutto quella macchia orribile, indelebile delle frasi rivolte a Giovanni Falcone.
Espressioni offensive, che gettarono sale sulle ferite aperte della famiglia del giudice assassinato con la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro a Capaci, in una strage orribile e della quale pagano le conseguenze i loro cari, senza interruzione.
Frasi, quelle delle intercettazioni, che suscitarono grande indignazione nell’opinione pubblica, tanto da indurre Miccoli -una volta appreso e capita la gravità di quelle parole- a scusarsi pubblicamente tra le lacrime e a inviare al quotidiano Repubblica una sua lettera.
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