Strage sulla montagna proibita. Potrebbe sembrare il titolo di un film horror e invece, purtroppo, è la triste realtà . Ha dell’incredibile quanto accaduto in Mongolia, dove almeno dieci persone (ma il bilancio è come succede in questi casi destinato ad aumentare) hanno perso la vita dopo essere state travolte da una valanga sul monte Otgontenger, oltre 4mila metri di altezza, situato a una sessantina di chilometri da Uliastai, la capitale della provincia Zavkhan.
Le autorità del Paese asiatico, e in particolare il Ministero dell’Ambiente, nel 2015 avevano deciso di impedire l’ascensione al gigante innevato, considerato troppo pericoloso ma anche simbolicamente importante dal punto di vista religioso. Il divieto, però, non ha fermato un numeroso gruppo di alpinisti (circa una trentina e composto da uomini tra i trenta e i cinquant’anni hanno fatto sapere da Ulan Bator, la capitale), che è salito in cima, conquistando la vetta più alta dell’intera Mongolia. Il dramma si è compiuto al rientro verso il campo base.
La Mongolian National Emergency Management Agency ha reso noto che le operazioni di soccorso sono iniziate tempestivamente e hanno coinvolto un centinaio di operatori: una decina di alpinisti, grazie anche all’intervento di alcuni elicotteri giunti sul posto, è stata messa in sicurezza, ma oltre alle morti accertate bisogna fare i conti con il numero di dispersi, per i quali ormai le speranze di salvezza sono da considerarsi nulle.
L’Otgontenger fa parte della catena dei Monti Khanghai. Si tratta di una località naturale protetta ed è da sempre meta di diversi pellegrinaggi, venendo considerata una delle montagne sacre più importanti per i buddisti dell’intero continente. Nella zona è l’unica montagna ad avere un ghiacciaio sulla cima, mentre la parete a sud è di granito.
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