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Calcio e Sla: la nuova teoria che sbalordisce

Un nuovo studio cerca di capire le cause della malattia che colpisce tanti sportivi

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Prosegue costante la ricerca sulla sclerosi laterale amiotrofica, la Sla, una malattia che ha molti lati oscuri e diverse peculiarità, come la presenza di molti sportivi e calciatori tra coloro che si sono ammalati.

Proprio su questo aspetto si è soffermato un nuovo studio, pubblicato sul Journal of Neurology Neurosurgery&Psychiatry (British Medical Journal), che ipotizza una possibile associazione tra malattia e sforzi fisici.

Stefano Borgonovo, Gianluca Signorini, Paolo List, Adriano Lombardi, Fulvio Bernardini: solo in Italia la lista dei calciatori vittime del male è lunghissima e ha sempre fatto pensare che chi fa esercizio fisico intenso potrebbe avere un rischio maggiore, anche se sempre basso, di sviluppare la Sla.

Per testare la teoria, riporta l’Ansa, lo studio, a cui hanno partecipati anche esperti italiani, ha confrontato gli stili di vita di 1557 adulti in Irlanda, Italia e Olanda a cui era stata diagnosticata la malattia con quelli di 2922 che invece non la avevano. Rispetto ad una persona che fa un’attività fisica media l’aumento di rischio è risultato del 6%, mentre tra i più attivi e i meno attivi del 26%. Il rischio assoluto, sottolineano gli autori, rimane comunque molto basso, e lo studio non dimostra una relazione di causa ed effetto ma solo una associazione.

“L’esercizio potrebbe avere qualche effetto neurotossico in persone con una predisposizione genetica  – affermano gli autori -. Questo potrebbe essere dovuto allo stress ossidativo e all’infiammazione a cui è sottoposto il corpo, o a cambiamenti nella chimica del corpo che sono tossici per le cellule nervose. È anche possibile che le persone che si allenano regolarmente siano più esposte ad agenti ambientali rispetto a chi è sedentario”.

Nello studio, sottolinea Ettore Beghi dell’Istituto Mario Negri di Milano, uno degli autori dell’articolo, il rischio è stato correlato anche con una variante genetica particolare che è ormai assodato sia legata alla Sla. “L’esordio della malattia deriva dalla combinazione di più fattori, ambientali e genetici, di per sé ovviamente l’attività sportiva non fa male, ma a certi livelli se si è predisposti potrebbe comportare un aumento del rischio. Ricordiamo però che a livello assoluto il rischio resta basso, se normalmente ci sono due casi ogni 100mila abitanti fra quelli che fanno attività intensa saranno 2,2 al massimo, rimane un evento molto raro”.

Beghi suggerisce di ampliare gli studi sugli sportivi: “Noi stiamo lavorando per cercare di analizzare un ampio gruppo di calciatori professionisti, e verificare l’incidenza non solo di Sla ma di tutte le malattie neurodegenerative. Una prima parte della ricerca è conclusa, ma ora siamo bloccati e stiamo cercando i fondi per poterla proseguire”.

SPORTAL.IT

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