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Campobasso in C, il ds Filipponi: "La vittoria di tutti, Rizzetta ha una marcia in più"

Dalla gavetta al lavoro nel settore giovanile, fino alla prima promozione da direttore sportivo: il successo del Campobasso targato Sergio Filipponi

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Pietro De Conciliis

Pietro De Conciliis

Giornalista

Giornalista pubblicista e speaker radiofonico, per Virgilio Sport si occupa di calcio con uno sguardo attento e competente sui campionati di Serie B e Serie C

“La vittoria di tutti, la vittoria di una città e di una regione”. Il ritorno tra i professionisti del Campobasso significa tutto questo, anche e soprattutto per Sergio Filipponi. Il direttore sportivo della società molisana, approdato alla corte di Matt Rizzetta nell’ottobre 2023 per sostituire l’esonerato De Filippis, rappresenta senza dubbio uno degli uomini chiave della cavalcata trionfale della squadra rossoblù. Dalla rivoluzione in corsa, nel mercato di dicembre, alla partita della svolta contro la Sambenedettese, che ha di fatto sancito il salto di categoria dei Lupi, poi certificato dal successo esterno di Chieti.

Campobasso, promozione targata Filipponi: dalla rivoluzione in corsa al salto di categoria

Vincere non è mai facile. Non lo è anche quando hai alle spalle una proprietà importante, arrivata dall’America per portare in Italia una mentalità diversa, in una città ferita dal recente passato. Una società storica, blasonata, ma neopromossa in un campionato difficile come quello di Serie D, dopo la vittoria in Eccellenza. Un patto con la città, ampiamente rispettato da Matt Rizzetta e dai suoi collaboratori. Primo successo da ds per Sergio Filipponi, professionista che ha reso grande il settore giovanile del Perugia, per poi vivere la Serie D con realtà importanti, fino alla scelta di Campobasso. Ora, è Serie C. A cuore aperto, il direttore originario di Ascoli Piceno si è raccontato in esclusiva a Virgilio Sport.

Emozioni e sensazioni. Direttore, non capita tutti i giorni di entrare nella storia del Campobasso, riportando la squadra del capoluogo molisano tra i professionisti.

“Per me, al terzo anno da direttore sportivo, aver vinto e aver riportato il Campobasso in Serie C, insieme a tutti i nostri collaboratori, è una fortissima emozione. A Chieti ho provato veramente delle emozioni fortissime, perché vincere un campionato di Serie D è di un difficile… Io lo avevo vinto da calciatore, ma lì guardi solo la squadra. Quando hai questo ruolo, invece, ti accorgi di come tutti debbano essere allineati, sopportando anche le pecche altrui. C’è bisogno veramente di tutti, dal dottore al magazziniere, dal primo all’ultimo collaboratore. Quindi grandissimi complimenti a tutto il Campobasso, poi è chiaro che allenatore e giocatori sono i protagonisti e la punta dell’iceberg, ma sotto c’è un lavoro enorme. E poi c’è il tifoso del Campobasso, le persone di Campobasso, sono veramente innamorate della squadra, si farebbero uccidere per il Campobasso. Questo porta punti, ve lo garantisco”.

Il punto di svolta. Una squadra operaia diventata manageriale.

“La partita della svolta è quella di San Benedetto, contro la Samb, con il gol di Persichini quasi a tempo scaduto. Quella è stata la partita della svolta, che ci ha fatto cambiare proprio orizzonte ed obiettivo. Con una sconfitta o un pareggio, onestamente, forse non saremmo stati qui a parlare di una vittoria del campionato, perché avrebbe potuto portare un po’ di depressione nell’ambiente. La vittoria, invece, c’ha dato una carica, una voglia, una spinta in vista del rush finale di stagione. E poi la continuità ha fatto la differenza, perché c’era voglia da parte di tutti di raggiungere l’obiettivo, sostenendosi l’un l’altro.

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E c’erano in panchina anche tanti giocatori importanti, sempre pronti ad applaudire il compagno e a supportare l’altro. Vedevo come si allenavano, vedevo la voglia di aiutarsi, con la solidità data dall’allenatore, senza mai perdere il nostro spirito operaio. Una squadra operaia diventata squadra manageriale. Lo spirito che ci ha consentito di diventare manager. Tolleranza, umiltà e aiuto reciproco. Questo è ciò che ci ripetevamo sempre. Poi, oltre all’aspetto tecnico, c’è stata unione da parte di tutti, veramente di tutti. Noi abbiamo vinto tante partite 1-0, soffrendo, tutti insieme, questo ha significato tanto”.

Un girone difficile, forse tra i più complicati della Serie D, complice la folta concorrenza.

“Quello di quest’anno era un girone veramente tosto, difficile, con squadre importanti, con budget importanti. L’Aquila, Roma City, Avezzano, Chieti, Senigallia, lo stesso Sora, il Notaresco e la sorpresa Fossombrone, che ha un allenatore con idee e aveva tutti giocatori che venivano dall’Eccellenza. La nostra forza è stata proprio l’unità e l’equilibrio delle componenti, tutte nella stessa direzione. Per quanto riguarda la costruzione della squadra, a me piace sempre collaborare con l’allenatore. Insieme al mister, abbiamo sempre deciso di prendere calciatori che fossero prima uomini, puntando sulla serietà dei calciatori. Io voglio gente umile, che ha fame. Questa è la prima caratteristica. Poi, è chiaro, la conoscenza dei calciatori c’ha aiutato, perché siamo andati a prendere giocatori funzionali al gioco del mister. Inutile che io vada di testa mia sul mercato. Devo mettere a disposizione delle caratteristiche che mi chiede l’allenatore, che servono a lui sul campo, mettendolo nelle migliori condizioni di lavorare.

Non è stato facile fare determinate scelte. Quando si vince, la bravura prevale sulla sfortuna, ma quali sono state le difficoltà di una rivoluzione in corsa?

“È normale che sugli attaccanti è stata dura, perché comunque a dicembre è difficile che le società lascino andare gli attaccanti bravi. Abbiamo preso 3-4 attaccanti, anche lì puntando sugli uomini, seguendo le caratteristiche. Sull’attaccante, abbiamo scelto su quelli che erano sul mercato, con bravura e fortuna. Abbiamo voluto fortemente questi calciatori, che c’hanno poi premiato con la vittoria del campionato. Abbiamo cambiato 15 calciatori, non era facile. A inizio anno, dico sempre, ce ne sono 100 sul mercato, a dicembre-gennaio ce ne son 30. Anche perché poi devi metterli in condizione di rendere al meglio in un contesto nuovo. Le cose non avvengono per caso, questo è chiaro. Io ho trovato, oltre all’esperienza del mister, dei collaboratori molto preparati, pur non avendo un curriculum di lusso. Ma sono stati veramente bravi. E questo potrebbe essere uno spot per il calcio, ma in qualsiasi ambito lavorativo. Io, personalmente, ho fatto 7 anni di settore giovanile nel Perugia, da direttore, poi 2 anni il direttore in Serie D, più un anno da osservatore. Non venivo da zero, ma il Campobasso ha scelto me anche con un pizzico di follia e io non posso che ringraziare il presidente Rizzetta. Basta guardare anche cosa succede nelle categorie superiori, con le vittorie di Pagliuca e Possanzini con Juve Stabia e Mantova, contro squadre e società più importanti”.

Proprietà americana, con una visione e un progetto tanto ambizioso quanto definito. Chi è davvero Matt Rizzetta?

“Parliamo di una persona molto intelligente, innanzitutto. È un imprenditore di successo in America. È da 2-3 anni nel calcio e ha già vinto due campionati, quindi è una persona competente e lungimirante. E ho già detto tutto, coi fatti. È un appassionato di calcio, innamorato del gioco del calcio, è uno ambizioso, è una persona che ha una marcia in più. Vede cose che altri non vedono. Ci vuole sempre un pizzico di fortuna, ma se vinci due campionati in meno di tre anni c’è anche dell’altro. Poi ha saputo scegliere le persone giuste, leali, che nel calcio non è mai scontato. Il Campobasso è composto da persone dalla grande moralità. Il presidente è stato bravo, da ottimo imprenditore, anche a scegliere i suoi collaboratori. Ad oggi gli vanno fatti solo i complimenti. Poi, nel calcio e nella vita, bisogna sempre dimostrare. Poi, c’è anche Nicola Cirrincione, vicepresidente e uomo di fiducia di Rizzetta, che è una persona innamorata del calcio, capace e con una mentalità diversa. Gli americani sono diversi da noi: sono puri, visionari, ti danno la possibilità di lavorare, rimanendo sempre al corrente di ciò che veniva fatto. Io non posso che ringraziarli per tutta la fiducia e la stima che ho sempre sentito è percepito durante quest’anno. Ti danno la possibilità di esprimerti. Sono felice perché gli abbiamo dato una grande gioia, al presidente e a tutta la città di Campobasso, ad una regione bellissima, piccolina ma con valori che in tutta Italia si sono persi”.

Il futuro dice, finalmente, Serie C.

“Sul girone dell’anno prossimo non so, bisogna capire. Sono tutti complicati questi gironi, forse lo è ancora di più il girone C, ma poi bisogna sempre giocarli i campionati. È presto. Direi che è il momento di goderci questi giorni, per staccare e metabolizzare la vittoria, liberando la testa dopo una stagione stressante”.

Direttore, ha ancora un sogno nel cassetto?

“Sognare non costa nulla, io sogno sempre. Un sogno l’ho già raggiunto: per me, entrare nella storia del Campobasso è già un sogno o si avvicina di molto, venendo dal basso. Per me che vengo dalla provincia. Al terzo anno da direttore sportivo, aver potuto far sognare una città e una regione è già un sogno. Poi, non so quale sarà il prossimo sogno”.

Spazio alle emozioni. Dopo aver tagliato questo straordinario traguardo, ha una dedica speciale?

“Mi verrebbe spontaneo dedicare tutto questo a chi mi è vicino ogni giorno, a chi è al mio fianco ogni giorno, anche non fisicamente, nei momenti più difficili. Lei sa. E poi, dedicherei questo traguardo a tutte quelle persone che credevano che Sergio Filipponi potesse dare qualcosa al mondo del calcio. Dedico questo traguardo a chi come me è partito da zero, a chi ha il sogno di diventare qualcuno partendo dal niente, studiando e lavorando ogni giorno. L’anno scorso arrivai a vedere più di 100 partite dal vivo, per poi studiare la notte su Wyscout, sacrificando gli affetti personali. Bisogna sempre crederci nella vita. Per questo vorrei dedicare tutto questo a chi sente di poter fare qualcosa pur venendo dal niente. Crederci sempre”.

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