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Che fine ha fatto Sabato, dall’Inter agli orologi

La carriera dell’ex centrocampista nerazzurro che andò anche in Nazionale

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Il calcio non l’ha lasciato, collabora con l’agenzia di Silvano Martina (procuratore tra gli altri di Buffon) e con qualche comparsata da ospite nelle tv lombarde ma non è più al centro della vita di Antonio Sabato, ex centrocampista dell’Inter dove, emigrato dalla Sicilia, iniziò esordì in Serie A il 7 novembre 1976 contro il Torino. Mandato in giro tra Forlì, Sambenedettese e Catanzaro fu in Calabria che si affermò suggerendo al club nerazzurro di farlo rientrare alla base dove divenne perno inamovibile sia con Marchesi che con Radice e Castagner, prima di rompere proprio con lui. Poi 4 anni brillanti al Torino, infine Ascoli e Alessandria ma in mezzo anche 4 presenze in Nazionale con Vicini per un totale di 283 partite (con 14 reti) in Serie A, 46 (e 2 gol) in Serie B e 58 partite (3 i gol) in Serie C.

Sabato non ha rimpianti per la sua carriera

Parlando a Repubblica diversi anni fa ammise di non avere foto da giocatore conservate (“ho giusto nel retrobottega una cartolina “I love Inter” col cuore in nerazzurro, ma l’ ho levata dalla vetrina la mattina del 6 maggio del 2001, lasciamo stare”). La vetrina è quella di un negozio di orologi, dove ha lavorato dando seguito a un’intuizione avuta quando giocava («Era il 1985, io e Carletto Muraro, assieme a un mio amico non calciatore, abbiamo aperto questo negozio in corso Buenos Aires. Un investimento come tanti, come si usava: noi calciatori dei tempi guadagnavamo molto meno di quelli attuali, e proprio per questo pensavamo a pianificarci il futuro»)

Ha studiato Sabato, ha imparato a capire come si cambia una pila o un cinturino ed era proprio lui dietro il bancone, a servire i clienti. Dagli orologi si è poi allargato passando ad aprire un negozio di abbigliamento per uomo.

La Juve voleva soffiarlo all’Inter

Parlando a Calcioscout Sabato ricorda che su di lui non c’era solo l’Inter: “C’era anche la Juve che mi voleva, ma fortunatamente sono andato all’Inter, la soluzione migliore, dato che vivevo vicino a Milano ed ero interista. Nel terzo anno interista ho avuto un allenatore di cui non ho bei ricordi, Castagner. A fine stagione avevano preso Tardelli e mi dissero che se fossi rimasto, avrei fatto avuto difficoltà a giocare. Io non avevo intenzione di fare la panchina a uno più anziano di me, ero ancora giovane e, nel frattempo, c’era Radice (che allenava il Torino) che continuava a chiamarmi, così decisi di andare al Toro.”.

“Il mio rimpianto è che, forse, la mia decisione di lasciare l’Inter è stata troppo affrettata. Forse avrei dovuto aspettare, perché Tardelli, quell’anno, non fece un gran campionato e avrei, quindi, potuto riconquistarmi il posto. Ero probabilmente troppo orgoglioso e presi una decisione d’istinto. Il ricordo più bello in nerazzurro è la vittoria per 5 a 1 contro il Groningen. Giocavamo a Bari, per la squalifica di San Siro, e all’andata avevamo perso 2 a 0 in Olanda. Se avessimo giocato a San Siro, i tifosi non ci avrebbero aiutato e, ai primi errori, ci avrebbero sicuramente fischiato. Invece a Bari c’era un gran tifo, c’erano quasi 40.000 persone che arrivavano da tutto il Sud Italia. E’ stata un’apoteosi, una grandissima gioia. Quella settimana è stata fantastica, perché, oltre alla vittoria con il Groningen, vincemmo, la domenica dopo, il derby per 2 a 0”.

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