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Atletica: Eleonora Anna Giorgi, quando il talento non basta

La marciatrice azzurra confida a Virgilio Sport i suoi progetti, le ansie e le speranze dopo l'ultimo stop scoperto dopo la quarantena: l'intervista a Eleonora Anna Giorgi

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E’ l’ultima settimana di attesa vigile prima delle nuove restrizioni adottate all’inasprirsi della pandemia, quando Eleonora Anna Giorgi esterna le sue perplessità, i suoi timori e le speranze colme di ottimismo, nonostante tutto. Nonostante la quarantena, che ha portato a questa medagliata azzurra della marcia, scoperte non sempre gradevoli ma che non l’hanno cambiata. Sa che perché arrivi il momento della sua terza Olimpiade, a Tokyo, dovrà lavorare ancora molto. E proiettare quello stile Eleonora, quello che svela a Virgilio Sport costruito con la testa e la fatica, l’acido lattico, oltre le ansie di questi giorni sospesi.

Dall’ultima foto pubblicata su Twitter, sabato 10 ottobre, sembra che la preparazione stia procedendo – nonostante il clima – con estrema soddisfazione da parte tua.

Abbiamo dovuto fermarci tutto noi atleti durante il lockdown, quindi anche io. Ho avuto la possibilità di allenarmi fino al decreto che ce lo permetteva in preparazione delle Olimpiadi. Poi, quando hanno deciso di posticipare l’Olimpiade anche noi atleti non potevamo più allenarci e così mi sono allenata a casa e poi ho fatto altri esercizi. In realtà, quando ho ripreso ad allenarmi dopo il periodo di quarantena, ho scoperto di avere un infortunio. Un fastidio che mi portavo dietro dall’anno scorso, da un bel po’ di tempo e che ho scoperto facendo una risonanza: una frattura da stress dovuta ai chilometri che faccio e e un tendine infiammato. Negli ultimi due mesi ho ripreso e procede bene. Sono comunque abbastanza ottimista perché le gare importanti sono il prossimo anno.

La stagione è stata interrotta ed è ripresa con enorme aspettative il 4 maggio 2020: che cosa ha comportato uno stop così sostanziale per un’atleta come te?

In quel periodo, ho pensato che fosse la scelta più giusta: naturalmente ero dispiaciuta ma in quel momento i problemi erano altri e lo sport è passato in secondo piano. Solitamente c’è una programmazione ed è stato rivisto, anche se è più un problema dell’allenatore che deve ripensare tutto di un anno, dalla programmazione alle gare. Credo che la salute delle persone venga prima di tutto.

Nel 2015, nel giro di due mesi, hai ritoccato per due volte il record italiano della 20 km diventando la prima italiana a scendere sotto il muro dell’ora e 27 minuti: 1h26:46 il 21 marzo a Dudince e 1h26:17 il 17 maggio in Coppa Europa a Murcia. Ma hai ribadito che vale il talento, ma soprattutto il metodo e la disciplina.

Credo sia solo lavoro. La parte più difficile è ripartire dopo un infortunio, dopo una quarantena, dopo una squalifica. Ci si deve rimettere in marcia e ricominciare. Ma se uno ha un obiettivo in testa, un sogno da realizzare conta di più il lavoro che dietro che il talento. Il talento ti porta fino a un certo punto, per vincere medaglie ci vuole sempre duro lavoro. E non solo sport.

E’ stato una interruzione complessa? Da un punto di vista mentale quanto tocca un simile vento rispetto anche a interruzioni forzate come quanto ti è accaduto nel 2016, quando ti sei dovuta fermare per l’intervento subito? Penso a quando hai cambiato specialità e da mezzofondista è passata alla marcia…

Ero una mezzofondista, avevo iniziato alle scuole medie e amavo tantissimo correre. Allora avevo avuto un infortunio, una tendinite ho seguito il consiglio di mia mamma: “Prova a marciare e vedi come va”, mi disse perché la marcia è molto meno traumatica della corsa non c’è impatto con il terreno. E così un po’ per gioco è iniziata una sfida. Le prime gare arrivavo sempre ultima. C’è un trofeo, nel Nord Italia, in cui mi battevano i bambini, i più anziani ma da lì ho capito che mi piaceva la marcia come movimento, come gesto tecnico e mi sono appassionata sempre di più fino a fare le prime gare vere, i campionati italiani, la prima volta in nazionale giovanile e poi da lì ho cambiato allenatore nel 2010 ed ho fatto il salto di qualità.

Cambiato l’allenatore, non la testa. Questa grande capacità di lavorare sulle tue qualità sono immutate.

Non so se questa qualità è innata, perché quando sono in allenamento e in gara la mia concentrazione dura davvero poco. Faccio una gara che dura davvero molte ore, se dovessi rimane concentrata quattro non so come reagirei. Forse mi ha aiutata la mia spensieratezza, perché anche durante i momenti negativi ho sempre ripensato a quelli più positivi. O anche durante Doha, con 40°, pensavo a che cosa avrei mangiata, a che vacanza avrei fatto. Sono sempre sul pezzo, ma tento di pensare ad altro. Se anche in allenamento non parlo, non mi passa. Anche sui social cerco amici runner che mi aiuti e mi sostenga negli allenamenti.

Questo stop forzato ti ha sostenuta nelle sue attività collaterali e mi riferisco al suo ruolo nella sensibilizzazione sulla fibrosi cistica.

La Fidal ha stipulato un accordo per lanciare un importante incontro per sensibilizzare i ragazzi affetti da fibrosi cistica. Lo sport non solo l’atletica sono consigliati ai ragazzi affetti da fibrosi cistica, attraverso questa partenership ho scoperto questi giovani co che forza e con che coraggio affrontano ogni giorno.

Che cosa vede oggi, da qui al 2021 anno in cui dovrebbero celebrarsi le Olimpiadi di Tokyo?

Sarebbe la terza Olimpiade e ambisco alla quarta, nel 2024 a Parigi. Anche perché la vita media di un atleta si è molto allungata e quindi sono convinta di poter sperare in questo risultato.

Eleonora, hai conseguito una laurea triennale e una specialistica all’Università Bocconi e hai deciso di impegnarsi in un Master che ha l’obiettivo di rafforzare le sue competenze nel management dello Sport. Che futuro stai costruendo per te e il tuo compagno, Matteo Giupponi (atleta a sua volta)?

Spero di proseguire ancora come atleta ancora molti anni. Il mio fidanzato ha ottenuto il minimo per le Olimpiadi, io sono già qualificata e ciò mi dà doppia soddisfazione. Mi piacerebbe rimanere nel mondo dello sport perché è un mondo che mi appassiona tantissimo, ma dall’altra parte perché oggi lo vivo come atleta e quindi do tante cose per scontate. Invece, nella parte degli eventi, del management e degli sponsor c’è davvero molto da apprendere. Dietro c’è un mondo immenso che mi piacerebbe conoscere quando smetterò.

Hai un po’ di timore, alla luce di questi recenti avvenimenti e all’innalzamento del livello di attenzione dovuto alla pandemia?

Ho un po’ di timore, non lo nego, che possa ripresentarsi uno stop, per la situazione sanitaria e anche perché quando vennero presi di mira i runner, all’inizio del lockdown, alcuni sono stati attaccati verbalmente. Io proseguo e cerco di adottare le precauzioni del caso anche quando vado al parco. Rispetto la distanza, scelgo di frequentare luoghi e spazi aperti dove c’è poco affollamento. Basta un po’ di buon senso, dopo quanto accaduto durante questa pandemia. Ero una atleta che prima lanciava appelli via social e alla fine si trovava con anche 30 compagni di allenamento. Ma rinuncio. Lo dobbiamo fare per chi ha sofferto, per chi non ce l’ha fatta e anche per i medici e gli operatori sanitari che sono ancora lì, a lottare contro il Covid.

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