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Katrine Veje fermata al confine: "La calciatrice non è un lavoro"

Ex dell'Arsenal, colonna della Nazionale danese, racconta: "Credevo mi stessero prendendo in giro, ho dovuto prendere il treno successivo".

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Katrine Veje fermata al confine: "La calciatrice non è un lavoro" Fonte: Getty

Ha vinto il campionato inglese femminile nella passata annata, dopo aver conquistato titoli in Svezia, Danimarca (è colonna della Nazionale con più di 100 gare giocate) e Stati Uniti. Katrine Veje nel 2020 è tornata a casa, nella natia Danimarca, a pochi km da Malmö, dove milita nel Rosengård, una delle migliori squadre svedesi del momento. Un curriculum di tutto rispetto, ma non è che bastato per una brutta mattinata.

Ogni giorno la Veje, infatti, si reca dalla Danimarca alla Svezia per allenarsi, in virtù della vicinanza tra i due paesi. Per farlo, deve presentare un tampone negativo una volta a settimana, come accade in questi tempi di coronavirus. Al confine, però, l’ex dell’Arsenal è stata fatta scendere dal treno.

E’ stata la stessa Veje a raccontare quanto accaduto nella giornata di giovedì: al controllo delle guardie di frontiera, queste hanno bloccato il suo accesso perchè l’ultimo test negativo risaliva a lunedì e proveniva da un altro paese, in questo caso la vicinissima Danimarca.

A nulla sono valsi i documenti che aveva portato con sé, firmati dal direttore sportivo Therese Sjögran, che dimostravano di essere assunta come calciatrice professionista dal Rosengård, club arrivato fino al quarto di finale di Champions League 2020/2021, eliminato dal Bayern Monaco.

Ad Aftonbladet’, la Veje ha parlato così: “Uno dei poliziotti mi ha detto che fare la calciatrice non è un lavoro e che quindi dovevo tornarmene a casa. Ho cominciato a ridere, perchè pensavo mi stesse prendendo in giro. No. Non è che in giro mi riconoscano spesso, ma se dico Rosengård lo sanno tutti che è una squadra famosa, che ha fatto anche i quarti di finale di Champions…”.

La situazione si è risolta quando è intervenuto il collega di polizia: “L’altro poliziotto ha detto che ‘è il suo lavoro’. Quindi ho dovuto salire sul treno successivo. mio primo pensiero è stato che a un uomo non sarebbe mai accaduto, ero molto arrabbiata. Ho anche chiesto il nome del poliziotto per fare reclamo, ma non me lo hanno fornito. Non si sono scusati, il collega ha riso dicendomi di prendere il treno successivo. In ogni caso questa era una persona su cento agenti di polizia. Spesso sono molto gentili. Solo sfortunato ad aver incontrato questa”.

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