La tragica scomparsa di Bjorg Lambrecht, il ciclista belga di 22 anni che ha perso la vita durante la terza tappa del Giro di Polonia, ha riportato d’attualità il tema della sicurezza nel ciclismo. In realtà però l’alfiere della Lotto-Soudal è stato solo vittima del “più grande colpo di sfortuna possibile”.
A dirlo, attraverso una nota ufficiale, è Maarten Meirhaeghe, il medico della formazione belga, che ha ricostruito la dinamica dell’incidente che ha portato alla morte di Lambrecht, al quale non è bastato venire prontamente soccorso e trasportato in ospedale. Il decesso è avvenuto poco dopo.
Al corridore è stata fatale “una grave lesione del fegato, che ha causato un’enorme emorragia interna. Di conseguenza, Bjorg ha subito un arresto cardiaco” ha specificato Meirhaeghe.
“Con una tale emorragia interna è necessario un miracolo per sopravvivere, miracolo che non è avvenuto, purtroppo – ha proseguito il dottore – Il luogo e il tempo non hanno influenzato le conseguenze dell’incidente. Anche se un tale trauma si fosse verificato all’interno di un ospedale le possibilità di un esito negativo sarebbero state reali”.
In segno di lutto dopo la scomparsa di Lambrecht la tappa di martedì del Giro di Polonia è stata neutralizzata e i compagni dello sfortunato ciclista hanno tenuto affiancati la testa del gruppo fino al traguardo.
Uno dei primi a ricordare Lambrecht è stato Giovanni Carboni, corridore della Bardiani-CSF: “Conobbi Lambrecht alla Ronde d’Isard nel 2016. In squadra eravamo sorpresi da questo ragazzino dal fisico minuto. Sembrava un uccellino, era un leone. Poi, un mese dopo in nazionale, me lo sono ritrovato alla Corsa della pace. Ultima tappa, finale uno strappo: io terzo, lui primo. Poi siamo andati all’Avvenire, la corsa a tappe più importante per noi dilettanti. Chi vinse? Bernal e lui arrivò ancora secondo. Nella penultima tappa lui ed Egan fecero fuoco e fiamme. Bjorg volava in salita. Aveva grinta”.
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