Riccardo Fogli e gli Europei: "La mia Nazionale si è ritrovata"

Il cantante e pilastro dei Pooh, Riccardo Fogli, svela il suo amore per la Nazionale, la passione per il calcio e la Fiorentina. Le ansie per Mancini e per il suo Chiesa

Pubblicato:

Un terzino di fascia. È così che si definisce Riccardo Fogli, cinquant’anni di carriera prima con i Pooh e poi da solista. E ancora il Festival di Sanremo, vinto nello stesso anno in cui gli Azzurri hanno trionfato sotto il cielo di Madrid, l’Eurosong e i live in giro per il mondo, che lo hanno spinto fino all’ex Unione Sovietica, dove una volta ha incontrato dei ragazzi russi che indossavano la maglia della sua squadra del cuore, la Fiorentina.
“Se sto bene e sono in salute a 74 anni lo devo anche alle tante partitelle di calcio. Ho cominciato a giocare tardi, a trentacinque anni, quando solitamente i calciatori smettono”, racconta Riccardo Fogli, che insieme a Gianni Morandi è annoverato fra i fondatori della Nazionale Cantanti. Un’idea nata dalla passione, divenuta oggi un ambiente di generosità e di formazione anche per tanti nuovi protagonisti della musica italiana.
“L’Italia è sempre stata un vivaio di cantanti e musicisti”, aggiunge Riccardo Fogli, che è da poco uscito con un nuovo singolo dal titolo “La Tenerezza 93”, dedicato al figlio. “A livello calcistico ultimamente ci siamo un po’ persi: speriamo di ritrovarci con Mancini, che dia stimolo e nuova linfa alla nostra Nazionale”.

Una passione, quella per il calcio, che si è trasformata in un progetto ammirevole: la Nazionale Cantanti.
Quando ero piccolo, osservavo sempre gli altri bambini che giocavano a pallone. La mia mamma mi chiedeva di non giocare, per evitare di rovinare l’unico paio di scarpe che avevo. Per questo ho iniziato a praticare ping pong, di cui sono diventato campione italiano nel 1963.
Quando poi è arrivata un po’ di fama, ho partecipato ad un programma condotto da Gianni Morandi. Lui, carico come sempre, ad un certo punto se ne esce così: “Richi, ma tu sai giocare a pallone? Domani ho organizzato una partita contro i camerieri”.
Questo è stato praticamente l’inizio della Nazionale Cantanti. Mi comprai le prime scarpe da calcio e nel giro di sei mesi diventò una consuetudine. Poi sono arrivati gli altri colleghi, Mingardi, Giacobbe, Mengoli, Tognetti, compreso Mogol che fu il primo a filosofeggiare sul fatto che un’idea come questa potesse diventare anche terreno di beneficienza.
Così è arrivato un piccolo sponsor, poi un altro e un altro ancora: abbiamo cominciato a rappresentare i cantanti che giocano a pallone, dando il la a molte altre categorie che negli anni successivi hanno deciso di fare lo stesso, dai ciclisti fino ai piloti di Formula1.

C’è stata qualche altra Nazionale particolarmente difficile da battere?
Quasi tutti erano più forti di noi. Categorie come quella degli avvocati o dei medici, che avevano le mogli in tribuna, si allenavano un sacco perché volevano dimostrare loro che riuscivano a stracciare Gianni Morandi e i suoi colleghi. Prima ci menavano e poi ci chiedevano l’autografo.
Poi negli anni abbiamo ospitato chiunque: ho giocato con Boninsegna, con Baggio, addirittura con Maradona. Quando giocò con noi, già non stava molto bene; prima abbiamo palleggiato due ore in palestra. Quando poi siamo saliti a giocare in campo, mi ricordo che sono entrati i fotografi e lui li cacciò dicendo: “Uscite, questa è casa mia!”.
Verso l’ottantacinquesimo minuto lui esce dal campo perché non ce la faceva più e lì fu il dramma. Ero seduto in panchina e sento dagli altoparlanti: “Fuori Diego Armando Maradona, dentro Riccardo Fogli”. Ancora oggi ci penso: è uno dei miei incubi ricorrenti.

Ne sarai stato sicuramente all’altezza.
No, ma stai scherzando? Il calcio mi ha fatto capire che – a parte la capacità di giocare – se non hai il fiato, non arrivi da nessuna parte. Sempre con Morandi abbiamo quindi iniziato con questa consapevolezza a correre le maratone, per allenarci su questo fronte. Gianni è andato alla sua prima maratona a New York nel ’99, io invece l’ho corsa nel 2000 e nel 2001, l’anno dell’attentato. Un ricordo terribile, c’erano ancora i gas che uscivano da Ground Zero. Molti si sono tirati indietro per paura, io invece c’ero ed è stato un onore.

Com’è Riccardo Fogli tifoso?
Dove vivevo da bambino c’era una specie di lavanderia, sul tetto della quale si vedeva il campo di calcio del Pontedera. Una tribuna vip sull’eternit. Da lì vidi per la prima volta, quando avevo sette anni, la Fiorentina che venne a giocare un’amichevole. Mi innamorai subito di quei colori, del giglio, del calcio insomma. Da lì non ho mai tradito la mia squadra: addirittura ogni tanto mi chiamano a vedere la partita, mi infilano una cuffia e mi chiedono di commentare.

Quando eri nei Pooh, come facevate a coniugare le diverse identità calcistiche?
Credo che l’unico vero tifoso all’epoca fosse Facchinetti. Del resto lui è Bergamo, e Bergamo è l’Atalanta. Da giovani eravamo immersi completamente nella musica, non ricordo a quel tempo di essere mai stato a vedere una partita o di aver parlato di calcio. Non ho mai sentito il nostro fratello che è in cielo, Stefano D’Orazio, parlare della Roma, così come gli altri miei colleghi. Parlavamo di musica e di donne, sempre con grande rispetto.

Gli Azzurri però li seguivate?
Ovviamente sì, e anzi, qualche partita della Nazionale ci ha fatto anche posticipare dei concerti. Una volta ci siamo visti la partita con i nostri fan e appena è finita abbiamo suonato. Non si poteva pensare di cantare mentre gioca la Nazionale.

Le vittorie degli azzurri te li ricordi?
Quella dell’82 me la ricordo benissimo, anche perché fu lo stesso anno che vinsi Sanremo. La Nazionale l’ho sempre seguita, anche negli anni più bui.

Quest’anno chi vorresti vedere in campo?
Vorrei sempre Chiesa, che per me è ancora Viola anche se gioca nella Juve. Poi, come penso tutti, vorrei la difesa bianconera e Bonucci, che fa i lanci di sessanta metri e risolve un sacco di problemi quando non riusciamo a saltare il centrocampo. Chiunque lo sostituirà, dovrà avere un lancio simile, altrimenti gli toccherà giocare fino a cinquant’anni.

Come Buffon.
Esatto, anche se Donnarumma è abbastanza maturo da poterlo sostituire. Buffon però non è solo un portiere, è come un grande direttore d’orchestra per la squadra.

In conclusione, Mancini ce la può fare?
Mancini è stato un bravo giocatore, che è sempre sceso in campo con intelligenza e velocità. Poi ha fatto un iter per guadagnarsi il diritto di allenare l’Italia. Ed è giusto che questa responsabilità ce l’abbia uno come lui, che lo merita. Ovvio che poi in campo ci vanno i calciatori, ma un allenatore deve misurare la personalità di questi ragazzi e avere la consapevolezza di mandare in campo uomini nei quali crede. E sono convinto che Mancini conosca bene sia le loro debolezze, che le loro forze.

Riccardo Fogli e gli Europei: "La mia Nazionale si è ritrovata" Fonte: ANSA

VIRGILIO SPORT

Tags:

Leggi anche: