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Il mistero della morte di Sissy Trovato Mazza: il processo sei anni dopo, le contraddizioni in aula

L'agente penitenziaria Maria Teresa Trovato Mazza è scomparsa dopo due anni di sofferenze; la famiglia chiede di fare luce sulla sua morte

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Elisabetta D'Onofrio

Elisabetta D'Onofrio

Giornalista e content creator

Giornalista professionista dal 2007, scrive per curiosità personale e necessità: soprattutto di calcio, di sport e dei suoi protagonisti, concedendosi innocenti evasioni nell'ambito della creazione di format. Un tempo ala destra, oggi si sente a suo agio nel ruolo di libero. Cura una classifica riservata dei migliori 5 calciatori di sempre.

Il mistero della morte di Sissy Trovato Mazza: il processo sei anni dopo, le contraddizioni in aula Fonte: ANSA

Quella morte così assurda e inspiegabile, ancor di più perché avvenuta all’interno di un nosocomio pubblico e per il mestiere della vittima. Maria Teresa Trovato Mazza, detta Sissy, è stata ferita da un colpo di pistola, esploso dalla sua arma di ordinanza nell’ascensore dell’ospedale civile di Venezia, il 1° novembre del 2016.

L’agente penitenziaria si trovava in servizio esterno e aveva appena controllato una detenuta, ricoverata in maternità nel reparto di Ostetricia e Pediatria dell’ospedale. Sissy è stata ritrovata lì nel vano dell’ascensore, riversa a terra, in condizioni disperate a causa dei danni provocati da quel proiettile che l’aveva raggiunta al cranio. Ha vissuto poi due anni, assistita dai suoi cari, che continuano a chiedere giustizia e verità per la loro Maria Teresa, Sissy.

Sissy Trovato Mazza, la carriera da campionessa

Una vita stroncata dagli strascichi di quel ferimento che ha condotto Maria Teresa Trovato Mazza, l’ex portiere della gloriosa Pro Reggina, a una morte tragica quanto inaccettabile in circostanze misteriose su cui sono tornate Chi l’ha visto, Quarto Grado, Le Iene con le loro inchieste. E che non ha ancora avuto un processo, nonostante sia stata respinta anche di recente la richiesta di archiviazione.

Sissy, la portiera campione d’Italia di calcio a 5 nel 2011-2012, è morta dopo due anni e mezzo di agonia, tra sofferenze atroci senza un colpevole, secondo quanto ribadisce la sua famiglia che l’ha seguita e assistita, ogni singolo giorno.

Di fronte a queste conclusioni gli avvocati Girolamo Albanese e Mariella Sicari non si sono mai arresi. Il collegio difensivo, infatti, che si è avvalso della consulenza di esperti, come la genetista Anna Barbaro e il perito informatico Angelo La Marca e della consulenza dell’ex generale Luciano Garofano, ha elaborato una serie di elementi per evitare la richiesta di archiviazione sulla morte di Sissy. E fino ad ora il gip ha dato loro ragione.

Il post della Polizia Penitenziaria per ricordare Sissy, nel 2020

L’ipotesi del suicidio

Per il pm Elisabetta Spigarelli (che, va detto, è subentrata a una collega a indagini già iniziate) si è sparata lei, anche perché non ci sarebbero elementi della presenza di un’altra persona. Una tesi mai condivisa dalla famiglia. E che non convince del tutto, visto che siamo a tre richieste di archiviazione respinte da parte del gip. Una morte non volontaria, che sarebbe stata accreditata da una testimonianza, poi negata.

Il 10 maggio, dopo oltre sei anni, è iniziato un processo che potrebbe definire quasi collaterale, cioè per l’ipotesi di calunnia contro una detenuta che avrebbe accusato una poliziotta penitenziaria di essere responsabile del delitto.

Le versioni contraddittorie

“Non ho mai detto di aver ucciso Sissy”, riporta il Corriere della Sera citando quanto dichiarato in aula dall’agente di fronte al giudice Marco Bertolo. Riavvolgiamo il nastro fino a gennaio 2020 quando una detenuta rivela alla comandante della Penitenziaria che un’agente le avrebbe confessato di aver ucciso Sissy “puntandole la pistola al collo e sparando”. E a quel punto viene organizzata una trappola, per cercare di farglielo ripetere.

L’incontro sarebbe avvenuto in una stanza del carcere, mentre due agenti sentivano da quella vicina, nel massimo riserbo e nel verbale reso subito dopo, la detenuta aveva detto che l’agente aveva confessato. Una delle agente che avevano ascoltato, in aula ha detto di aver sentito dire alla collega “Io voglio solo morire”. La presunta omicida che qui è parte offesa per calunnia ha invece sminuito quella frase, anche se venne poi congedata per un mese e le fu tolta l’arma.

Altro dettaglio centrale, però verte poi sull’agente imputata che, stando alla detenuta, sarebbe stata insieme a una collega capace di picchiare Sissy, qualche settimana prima. Quella mattina non la aveva accompagnata all’ospedale, ma la collega calunniata ha negato di essere uscita e così risulterebbe.

Il pregresso

Sissy si era ritrovata in una situazione d’isolamento all’interno dell’ambiente carcerario femminile, che attraversava una delicata fase di verifiche su fatti sospetti.

Inoltre altri elementi decisivi, come la traiettoria e il mancato ritrovamento di materiale organico all’interno del vivo di volata della pistola, inducono le persone care a Sissy a combattere per non lasciare che la ricerca della verità su quanto avvenuto venga chiusa. Senza le risposte in grado di allontanare ogni dubbio su quanto accaduto quel 1° novembre.

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