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C'era una volta Roberto Baggio: il dramma del Divin Codino e dell'Italia a Usa 94

Dall'Inferno al Paradiso per poi precipitare di nuovo nel baratro. Questa è stata la cavalcata azzurra nel mondiale Statunitense del 1994, tutto nel segno di Roberto Baggio.

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C'era una volta Roberto Baggio: il dramma del Divin Codino e dell'Italia a Usa 94 Fonte: Getty Images

Dall’inferno al paradiso e poi giù di nuovo all’inferno, il tutto in appena 30 giorni. E’ questa la parabola vissuta ai Mondiali Usa 94 da Roberto Baggio, uno dei più importanti interpreti del nostro calcio nonché protagonista di quello che forse è l’epilogo più amaro della storia della Nazionale azzurra. Oggi vogliamo raccontare il melodramma che ha segnato una generazione di appassionati del pallone, l’Italia a Usa 94. O di quando, aggrappata al codino di Roberto Baggio, sottile ma molto resistente, la Nazionale del pallone è arrivata a un passo (anzi, a 11 metri) dalla gloria, 12 anni dopo il trionfo di Spagna 82.

Il cammino dell’Italia verso Usa 94

1994, Mondiali negli Stati Uniti, un caldo pazzesco e la solita dose di polemiche che condisce ogni edizione del torneo. Alla vigilia dell’esordio il commissario tecnico Arrigo Sacchi, amato e odiato, predica vittorie attraverso il bel gioco (tema più che mai attuale). Ma di bel gioco, in quella rassegna iridata, se ne vede ben poco. Le ultime amichevoli precampionato infatti non vanno come sperato: l’Italia perde, in serie, contro Francia (0-1 a febbraio), Germania (1-2 a marzo) e addirittura Pontedera, in un’amichevole giocata a Coverciano il 6 aprile e passata alla storia per la vittoria per 2-1 dei toscani che all’epoca militavano in C2. Risultati neanche lontanamente mitigati dalla vittoria di misura (1-0) sulla Svizzera di inizio giugno, da cui tra l’altro Baggio esce acciaccato.

Il ct, subentrato nel 1991 ad Azeglio Vicini dopo la mancata qualificazione agli Europei del 1992, attraversa insomma una vera e propria crisi tattico-esistenziale e attorno a lui c’è sempre più scetticismo. Da un lato c’è la sua idea di gioco che passa per un “rivoluzionario” 4-3-3 che alla fine esalta, però, soltanto le doti del capocannoniere del campionato Beppe Signori, dall’altra ci sono il blocco Milan (Baresi, Maldini, Tassotti, Costacurta, Donadoni e Massaro) e soprattutto Roberto Baggio che vorrebbero fare un passo indietro e tornare a quel 4-4-2 fatto di pressing, fuorigioco, raddoppi di marcatura e ripartenze che ha reso grande Sacchi e il suo Milan. Ma facciamo anche noi un passo indietro per raccontare, a chi non ha avuto la fortuna di vederlo giocare, chi era (e soprattutto cosa rappresentava) nel 1994 Roberto Baggio.

Chi era Roberto Baggio nel 94

Nel 1994 c’è forse soltanto un calciatore che suscita più interesse di Roberto Baggio: Diego Armando Maradona, richiamato in Albiceleste dal ct dell’Argentina Basile nonostante gli anni precedenti siano stati i più bui della sua carriera, dalla sconfitta in finale a Italia 90 alla positività alla cocaina del 1991. El Pibe de Oro però ha ormai 33 anni, e la sua avventura mondiale finirà nel peggiore dei modi (squalificato per doping dopo la seconda giornata); il Divin Codino invece è la “next big thing” del calcio internazionale.

Fresco di Pallone d’Oro, Baggio è il simbolo della rinascita della Juventus trapattoniana nonché la stella assoluta della Nazionale e icona generazionale di un popolo. Da Usa 94 in poi, nelle scuole italiane, non c’è classe senza almeno un alunno con il mitico codino “alla Baggio”. Quando la Nazionale atterra negli Stati Uniti, Baggio viene accolto come una rockstar e gli americani lo eleggono testimonial di uno sport che per loro era praticamente sconosciuto. E’ l’italiano più desiderato per apparizioni televisive e interviste, e al termine degli allenamenti alla Pingry High School di New York viene puntualmente circondato da giornalisti, tifosi e semplici curiosi alla stregua di una stella Nba.

Il difficile esordio a Usa 94 dell’Italia

Gli azzurri sono inseriti nel gruppo E, assieme a Messico, Irlanda e Norvegia. La prima partita è un disastro totale, il 18 giugno perdiamo malamente con l’Irlanda (1-0) senza vedere mai il pallone. La delusione dei tantissimi emigrati presenti nello stadio di New York è tangibile, e ovviamente le critiche sono pesanti. Nell’occhio del ciclone ci finisce (guarda caso) proprio Baggio, difeso comunque a spada tratta dal suo ct. Il 23 giugno è il giorno della prova della verità, sempre a New York contro la Norvegia.

Ancora lontani dallo spettacolo promesso da Sacchi, gli azzurri si ritrovano in dieci dopo 21 minuti per l’espulsione di Pagliuca, e tra lo stupore generale a lasciare il posto a Marchegiani è il numero 10, Roberto Baggio. “Chi? Io? Questo è matto”, si lascia scappare in un labiale passato alla storia che segna, di fatto, la rottura del rapporto fino a quel momento idilliaco con l’allenatore. Alla fine ci pensa l’altro Baggio, Dino, a togliere le castagne dal fuoco con un gol che vale l’1-0 finale. Ma è nella terza partita del girone, contro il Messico, che ce la si vede più brutta: finisce 1-1 (gol di Massaro), e ci qualifichiamo agli ottavi soltanto grazie a un complicatissimo calcolo matematico che salva le migliori terze. Baggio è regolarmente in campo, ma del Divin Codino, per la terza gara di fila, neppure l’ombra.

Roberto Baggio, il trascinatore dell’Italia a Usa 94

Da lì in poi, il miracolo. E di miracolo vero e proprio si parla il 5 luglio, agli ottavi contro la Nigeria. Sotto di un gol e di nuovo in 10 contro 11 (espulso Zola), all’88’ Roberto Baggio finalmente si sblocca e trova il gol dell’1-1. L’Italia scende dall’aereo di ritorno in patria (dove era praticamente già salita) e porta la sfida ai supplementari, decisi sempre da Baggio, stavolta su calcio di rigore. E’ l’inizio di una grande cavalcata che ci porta dritti alla finalissima. Quattro giorni dopo, nei quarti con la Spagna, vanno in gol prima Dino e poi Roberto, di nuovo al minuto 88.

La semifinale ce la si gioca il 13 luglio contro la Bulgaria del poi capocannoniere del torneo Hristo Stoichkov, nel caldo impressionante di New York. Gli azzurri partono forte e l’ormai solito Roberto Baggio mette il risultato in cassaforte con una doppietta in cinque minuti: finisce 2-1, e con 5 gol in tre partite il fuoriclasse italiano ha praticamente portato da solo la Nazionale a sfidare il Brasile nella finalissima. Nella ripresa con i bulgari, però, il dramma: Roby Baggio si fa male e si presenta all’ultimo atto di Pasadena neanche lontanamente vicino alla miglior condizione.

Il rigore sbagliato

Nonostante il recupero leggendario di Franco Baresi dall’infortunio al ginocchio, il morale in casa azzurra è a dir poco a terra. Baggio stringe i denti e parte titolare ma non incanta, come d’altronde nessuno dei 22 in campo che si trascinano stancamente ai calci di rigore dopo lo 0-0 dei supplementari. Qui succede qualcosa che strappa un pezzetto di cuore a tutti gli italiani che incollati davanti al televisore dall’altra parte dell’oceano. Dal dischetto sbagliano prima Baresi, poi Massaro e quindi proprio Roberto Baggio, lui che non aveva mai mandato un penalty sopra la traversa, l’eroe che aveva trascinato una bruttissima Italia a un passo dalla gloria.

Il mito tra canzoni e film

Riassumere 22 anni di carriera in “quel” mese americano sarebbe offensivo per uno come Roberto Baggio, a cui forse spetta il triste primato di calciatore più forte ad aver vinto così poco (due scudetti, una Coppa Italia e una Coppa Uefa). C’è un Baggio pre Usa 94 e soprattutto, c’è un Baggio post Usa 94 che poi è quello che la gente più ha amato. Il Baggio “romantico” di Bologna, dei Mondiali 1998 e di Brescia, che strappa la standing ovation a San Siro nel giorno del suo addio al calcio.

Un Divin Codino che, nella vita privata, è in realtà molto più “umano” dei suoi colleghi, un uomo normale con passioni normali e che ancora oggi gira in Panda. Di lui hanno cantato Lucio Dalla, Cesare Cremonini (“Da quando Baggio non gioca più non è più domenica”…), i Pinguini Tattici Nucleari e Diodato, il cui brano L’uomo dietro il campione è colonna sonora del film Il Divin Codino, uscito nel 2021 su Netflix e dedicato proprio alla carriera del fantasista. Per avere una visione a 360 del campione e dell’uomo vi consigliamo anche la puntata a lui dedicata nella docuserie Alessandro Cattelan: una semplice domanda, anch’essa disponibile su Netflix.

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