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C'era una volta il 9, anche l'Italia sceglie attacco leggero

Mancini sceglie il tridente dei piccoli, omaggio al trend moderno o esperimento momentaneo?

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C'era una volta il 9, anche l'Italia sceglie attacco leggero Fonte: 123RF

Se chiedi a Mancini chi era Paolo Rossi, lui ti risponderà. Chiaro. Chiedi chi era Altobelli, chi era Vieri. Ma chi erano mai questi bomber? I tempi cambiano, il mondo del football si adegua e chi ha i Lukaku, gli Ibrahimovic, gli Icardi e gli Higuain va avanti, chi non ce li ha deve inventarsi qualcosa. C’era una volta il numero 9 vero, il centravanti che di mestiere segna, che presidia l’area: poteva essere rapido, opportunista e sgusciante come Pablito o fisicamente possente come Bobo ma era l’attaccante dell’Italia, il bomber. Oggi non ce ne sono più o quasi, quelli che ci sono non sono intoccabili o indispensabili. Eccola la svolta, anche per la nazionale. Anche Mancini entra nel trend dell’attacco leggero, dei piccoletti che fanno movimento. Stasera con la Polonia come mercoledì scorso: Insigne, Chiesa e Bernardeschi ma il centravanti chi è?

COME SI SEGNA – Il ct ha chiarito la posizione: “Per vincere bisogna fare gol, dunque dobbiamo fare gol. Per una squadra un centravanti che faccia gol è importante: se c’è, tanto meglio. Ma può capitare di trovare una soluzione anche senza. Sarri lo fece con il Napoli e fu una soluzione quasi perfetta, ma la sua squadra giocava benissimo anche con Higuain. Noi a Genova abbiamo giocato bene per 60’, poi con i cambi qualcosa è cambiato: non perché chi è entrato ha fatto meno bene, ma perché quando si cambia tanto un po’ di caos c’è. Non ci sono punte? Se si vuole giocare a calcio, da qualche parte bisogna soffrire”. E allora via alla formula senza bomber di ruolo, non è un’invenzione: Guardiola era stato il precursore. Il nostro centravanti è lo spazio. Però, ovvio, una cosa se quello spazio lo attacca Messi, altro è un giocatore qualsiasi. Eppure l’Italia era sempre stata terra di poeti, navigatori e centravanti.

QUANTI FENOMENI – Senza tornare ai tempi di Meazza e neanche a quelli di Boninsegna e Riva. Da Paolo Rossi, Pallone d’oro, a Balotelli che segnò l’inizio della fine del ruolo, l’elenco è lungo. C’era tanta abbondanza che talenti come Pruzzo e Giordano non trovavano spazi. C’era Spillo Altobelli e poi Serena, c’era Vialli e c’era Schillaci. Solo con Sacchi ct s’era sperimentata una formula diversa: Baggio e Signori, ma c’era il Divin Codino mica poco. Poi fu il tempo di Vieri e Inzaghi infine di Toni e Gilardino, nell’ultima vera gioia col Mondiale 2006. Poi la luce iniziò a spegnersi. I ct le hanno provate tutte, anche naturalizzando Amauri e poi vagando alla ricerca del centravanti perduto. Oggi i superstiti del ruolo sono Belotti e Immobile, bravini ma che non fanno la differenza. E aspettando Cutrone o altri, ora chiedete pure a Mancini chi era Paolo Rossi. E vedrete che cosa risponderà.

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