La sua partita più importante l’ha vinta a 31 anni. Ed è stato il successo più prezioso, quello che gli ha consentito di vivere e di regalarsi tante altre soddisfazioni. Da calciatore era un motorino inesauribile, di quelli che corrono avanti e indietro per il campo senza fermarsi mai: che fa ora Roberto Bordin, l’ex pupillo di Lippi che ha giocato – tra le altre – nell’Atalanta e nel Napoli? Continua a vivere di calcio e per il calcio, al punto da essere diventato un allenatore di successo. La sua è una storia tutta da raccontare.
C’era una volta in Libia – Bordin è nato a Zawia, 50 km a ovest di Tripoli, il 10 gennaio 1965. Il papà si era trasferito nell’ex colonia italiana per lavorare come meccanico, ma ben presto tutta la famiglia fu costretta a rientrare in patria quando al potere salì il colonnello Gheddafi: era l’estate del 1970. I Bordin trovarono riparo e sistemazione a Sanremo ed è proprio nelle giovanili della squadra ligure che Roberto ha mosso i primi passi nel mondo del calcio.
La carriera da calciatore – Centrocampista tuttofare, all’occorrenza difensore, Bordin era uno che in campo non si risparmiava mai. Dopo la Sanremese il Taranto, poi una parentesi nel Parma di Sacchi in C, quindi nel 1986 l’approdo al Cesena con cui ha vinto un campionato di B e ha debuttato in A il 13 settembre 1987, contro il Napoli. Dopo due salvezze avventurose, il passaggio in un’altra dimensione della provincia: l’Atalanta. Le coppe europee, Mondonico, Giorgi, poi Lippi e un gruppo unito come pochi. Sono state quattro stagioni da ricordare quelle di Bordin a Bergamo, poi nel 1993 proprio Lippi l’ha voluto a Napoli. Tra i due il feeling era speciale, Bordin era il metronomo del gioco del futuro tecnico della Juventus e della Nazionale. Ma Bordin a Napoli non è stato affatto un “raccomandato”, degli azzurri è diventato un leader. È diventato capitano sotto la gestione Boskov, fascia confermata da Simoni. Un leader in campo, uno di quelli capaci di dire sempre le cose in faccia, ma di farlo sempre con le parole giuste. Anche quando sono difficili da raccontare.
“Scusate, non partirò con la squadra” – Nel giorno del raduno per la stagione 1996-97, ad esempio, fu proprio lui a prendere il microfono e a spiegare ai giornalisti (il virgolettato è tratto da un articolo dell’epoca su Repubblica, scritto da Francesco Rasulo): “Scusate, volevo comunicarvi che non partirò con la squadra per il ritiro. Credo di poter salire con un po’ di ritardo, sapete… Ho un problema… che il dottore vi spiegherà meglio, mi dovrò operare… Mi auguro di recuperare in fretta, di risolvere questo problema…”. Il problema era un tumore alla tiroide. Fortunatamente benigno. Una partita affrontata con la consueta generosità da Bordin. E vinta dopo un intervento chirurgico. A novembre era già in campo, nel successivo mese di maggio lottava col Napoli per la conquista della Coppa Italia. In finale la spuntò il Vicenza: per Bordin era tempo di vivere nuove avventure.
Da calciatore a tecnico – Dopo una salvezza a Piacenza, il triplo salto all’indietro alla Triestina, quindi un finale di carriera tra Spezia, Vicenza e ancora Spezia. Notevole il feeling con un altro giovane tecnico rampante, Mandorlini, tanto che appena Roberto ha ufficializzato il suo ritiro Andrea lo ha chiamato: “Ti va di farmi da secondo?”. Bordin è stato vice di Mandorlini a Bologna, Padova, Siena, Sassuolo, poi anche in Romania al Cluj e al Verona. Il debutto da primo allenatore alla Triestina, guidata a una rocambolesca salvezza in D nel 2016. Poi una chiamata a sorpresa.
Panchina d’Oro – Erano quelli dello Sheriff Tiraspol, la Juventus di Moldavia, la squadra di una città a maggioranza separatista e filorussa. Battere i governativi del Dacia Chisinau, da quelle parti, è una bella soddisfazione e Bordin c’è riuscito addirittura in uno spareggio per il titolo, ai rigori: può esserci qualcosa di più godurioso? Dopo un nuovo scudetto nel 2018, una soddisfazione particolare: la Panchina d’Oro speciale, assegnata a lui e a Carrera per le vittorie in Moldavia e in Russia. Oggi Roberto Bordin è allenatore del Neftchi Baku, in Azerbaigian. È papà felice, di ragazzi grandi che vivono in Italia e di una bimba avuta due anni fa dalla nuova compagna russa. Dalla periferia di Tripoli a quella d’Europa, passando per la serie A più bella e difficile di sempre e per una battaglia vinta: sì, la sua è proprio una storia da raccontare.