“Voi che fareste se venissero a proporvi di lavorare al New York Times? Accettereste?”. Fu così che Gigi Simoni comunicò – spiazzando tutti a Napoli – di aver firmato per l’Inter per la stagione successiva, rivolgendosi ai giornalisti. Un atto di coraggio a campionato in corso, un gesto che gli costò di lì a breve, nel 1997, uno dei tanti immeritati esoneri di una carriera fatta di gioie e dolori, vissuti sempre con la signorilità che a questo mondo del calcio non appartiene più. Fu privato della possibilità di giocare la finale di coppa Italia dove aveva trascinato gli azzurri (battendo proprio l’Inter in semifinale) e che forse non a caso il Napoli perse nella doppia sfida col Vicenza. Oggi Gigi Simoni compie 80 anni e gli auguri gli stanno arrivando da ogni dove, dalle sue ex squadre (7 da calciatore, 17 da allenatore) come Cremonese e Torino ma anche da chi ne ha sempre apprezzato l’onestà intellettuale, la serietà, l’umiltà. Tutte doti oggi difficili da trovare. Ha giocato nella Juve da calciatore (“Andai alla Juve perché fu bloccato il trasferimento di Meroni e perché mi voleva Heriberto Herrera, però giocai poco. La Juve aveva quelle strane maglie che si allargavano sulla schiena. Se davvero lì è nata la storia dei gobbi, io sono stato uno dei primi gobbi”) ma anche da giocatore è sempre stato un signore.
LA SIGNORILITA’ – Una volta ruppe una gamba ad un avversario in uno scontro di gioco, rimanendo mortificato. Appena diventò allenatore, però, richiamò quel rivale e ne fece il suo secondo in panchina, perchè sentiva di dovergli qualcosa. Questo e molto di più ancora è Gigi Simoni, che da bimbo andava a dormire col pallone sotto al letto e da grande ha fatto esordire, tra gli altri, tre che sarebbero diventati campioni del mondo: Bruno Conti, Gilardino e Pirlo. Cremona la sua seconda città, la Coppa Anglo-Italiana vinta contro il Derby County a Wembley («Due cose mi rimangono nel cuore di quel 27 marzo 1993: i tifosi che ci hanno accompagnato e lo stadio. Da bambino guardavo le partite di Coppa d’Inghilterra, per me era la cosa più bella del mondo con quelle due torri gemelle simbolo dell’impero. Trovarmi in quel teatro, su quel prato: non lo dimenticherò mai»).
UEFA E DINTORNI – Una coppa che vale quasi come quell’Uefa conquistata sulla panchina dell’Inter. O forse più (“Quella Uefa fu un trionfo solo a livello sportivo, perché io scappai negli spogliatoi amareggiato per le voci che circolavano sul possibile arrivo di Zaccheroni. E infatti non ci sono nelle foto dei festeggiamenti. A livello personale, invece, il ricordo più bello è l’ovazione ricevuta dai tifosi di San Siro, tutti in piedi ad applaudirmi, quando sono tornato la prima volta sulla panchina del Piacenza. Moratti mi ha detto che nessun altro è stato accolto così”) Non ha ancora smaltito la rabbia per quel rigore non fischiato da Ceccarini a Ronaldo si sa: (“È una ferita che rimarrà sempre, anche perché Ceccarini ripete che aveva visto giusto, quando ci siamo trovati a qualche cerimonia io l’ho salutato e lui ha fatto finta di non riconoscermi”) ma brucia di più quell’esonero da parte dell’Inter, nel giorno stesso in cui a Coverciano gli consegnavano la Panchina d’oro.
GLI ANEDDOTI – La sua Inter aveva appena battuto il Real per 3-1 in coppa Campioni e la Salernitana 2-1 in campionato con gol allo scadere di Zanetti. Moratti, sobillato dai suoi consiliori, disse: “I nostri 60mila abbonati non meritano questo spettacolo”. E ne ebbero di peggiori per anni e anni a venire, dopo aver cacciato Simoni il gentiluomo. Che tentò anche all’estero (col Cska Sofia) o con un ritorno a Napoli, dove – nonostante fosse stato maltratto da Ferlaino all’epoca – è sempre stato amato dalla maggioranza dei tifosi. Ha allenato fenomeni come Ronaldo e giocatori che solo con lui hanno raggiunto vette d’eccellenza come Moriero, Colonnese, Boghossian. Giocava a uomo, sì, perchè la zona non gli piaceva. E quando Zeman disse sprezzante, da tecnico della Lazio, che chi gioca col libero gioca con un uomo in meno, Simoni replicò con ironia dopo averlo superato in coppa Italia in 9 contro 11: “Allora vuol dire che ha perso contro una squadra che giocava in 8”.E SE gli chiedono se ha mai visto squadre più forti di questa Juventus, Simoni afferma: “La Juve è la squadra più forte, ma la più forte che ricordo è la Fiorentina di Bernardini, che vinse lo scudetto nel 1956”.