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Gianluigi Lentini: un predestinato sfortunato

Poteva essere uno dei migliori calciatori al mondo, invece Gianluigi Lentini non ha avuto la fortuna dalla sua parte.

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Simone Biancofiore

Simone Biancofiore

Giornalista

Laureato in Scienze della Comunicazione all'Università di Bologna. Il calcio è da sempre una grande passione. Scrivere di calcio? Merito di mio nonno, gli devo tanto.

Gianluigi Lentini: un predestinato sfortunato Fonte: Imago Images

Gianluigi Lentini nasce il 27 marzo del 1969 a Carmagnola; città di 30mila abitanti distante appena 30 km da Torino e conosciuta al mondo per il peperone quadrato. È figlio di genitori emigrati dal Sud Italia e vive tutta la sua infanzia a Villastellone.

Quando si pensa a Gianluigi Lentini vengono in mente tante cose. Attaccante talentuoso e con un futuro che sembrava essere scritto: Gigi era un predestinato, pronto a diventare uno dei calciatori più forti in Italia e forse anche nel mondo. Ma si sa, la vita a volte riserva dei colpi di scena clamorosi che modificano il proprio cammino. Ricopriva il ruolo di ala offensiva, abile con entrambi i piedi, poteva giocare in ogni ruolo dell’attacco grazie al suo fisico.

Ha indossato le maglie del Torino, Ancona, Milan, Atalanta e Cosenza. Ha vinto tanto anche se poteva vincere molto di più. Appesi gli scarpini al chiodo, Lentini non è mai rientrato nel mondo del calcio, nemmeno come commentatore televisivo (oggi cosa abituale per molti ex campioni). Ha gestito un bar e una sala biliardi, oggi produce miele e ha fondato insieme ad un amico una società agricola che prende proprio il suono nome e cognome.

Gigi era un personaggio. Era attento alla moda, voleva addirittura scrivere un libro su questo tema che lo affascinava. Lo si riconosceva dai capelli lunghi e dall’orecchino, cose abbastanza insolite. Lentini era diverso dagli altri, amava sentirsi così. Il giorno dell’annuncio del suo passaggio al Milan, la Repubblica scrive: “Gianluigi Lentini si è presentato con il look abituale: fa brillare l’orecchino di diamanti, dice di sentirsi a proprio agio nelle scarpe con gli strass, nei fuseaux, nel giubbotto scamosciato, pure quello nero con un enorme cuore rosso trafitto da una spada, e con un paio di ali stampate sulla schiena”. Forse Lentini è stato il precursore del calciatore moderno.

Lentini e il Torino

Il calcio è sin da subito la sua più grande passione. Cattura le attenzioni del Torino nel 1979, durante un provino al Campo Agnelli. Con il Toro è subito amore. La sua scalata verso la prima squadra è immediata. Trascorre due anni nella Scuola Calcio Barcanova, allenato da Ercole Rabitti. Poi ecco la Berretti granata di Gianni Bui nel 1983. È proprio con l’ex attaccante di Torino e Verona che Lentini acquisisce tutti i trucchi del mestiere. La fortuna, almeno nella fase iniziale della sua carriera, lo aiuta molto perché poi nella Primavera viene guidato da Sergio Vatta. Quest’ultimo veniva definito il mago delle giovanili granata perché aveva lanciato nel mondo del calcio – oltre allo stesso Lentini – giocatori come Cravero, Fuser, Vieri, Mandorlini, Cois, Pancaro, Rambaudi e Dino Baggio. Nel 1987, nonostante fosse aggregato alla Prima squadra, Lentini si rende protagonista con la Primavera vincendo il terzo torneo di Viareggio nel giro di quattro anni.

Il percorso di Gigi nelle giovanili granata è stato molto importante, gli ha permesso di avere delle basi tecniche e tattiche molto solide grazie a dei maestri del calcio. Gigi Radice, allenatore della Prima squadra, non può far finta di non vedere il suo enorme potenziale. L’infortunio dell’attaccante olandese Wim Kieft spinge il giovane Lentini, all’età di 17 anni, ad esordire in Prima squadra. Era il 23 novembre 1986, in un Brescia-Torino vinto poi dai lombardi per 2-0. Collezionerà nella sua prima parentesi tra i grandi, 11 presenze in Serie A (di cui 3 titolare contro Brescia, Juventus e Fiorentina) e gettone nell’ottavo di finale di Coppa Italia. Le prime apparizioni avevano incantato e molti giornali erano convinti che Lentini fosse più di una promessa. Radice è stato spesso critico nei suoi confronti per via del suo amore ossessivo per i dribbling, ma lo ha spesso elogiato per la sua spregiudicatezza e l’abilità nella difesa del pallone. Si viveva e si percepiva quella convinzione e sensazione che si fosse individuato un calciatore che potesse diventare un elemento centrale del calcio italiano.

Gianluigi Lentini durante la Supercoppa Fonte: Imago Images

La parentesi all’Ancona e il ritorno al Toro

La stagione 1988/89 è la prima lontana dal Torino. Il club granata lo manda a farsi le ossa in Serie B, all’Ancona. Disputa un’annata davvero molto importante con i marchigiani, rendendosi protagonista con 37 presenze e 4 reti. Il primo gol nei professionisti è datato 30 ottobre 1988, in occasione della partita esterna pareggiata per 1-1 contro l’Avellino. È un anno chiave per Gigi, non solo per i risultati ottenuti con la squadra, ma anche perché riesce ad acquisire una crescita tecnica e fisica non indifferente.

L’anno successivo, Lentini torna in Piemonte. Il Torino, nel frattempo, sul campo è retrocesso in Serie B e a condurre la nuova proprietà è Gian Mauro Borsano. In panchina, invece, c’è un personaggio di un certo spessore: Eugenio Fascetti. Inizialmente, il rapporto tra Gigi e l’allenatore toscano non è di certo idilliaco. Spesso veniva criticato perché teneva troppo il pallone ma per lui era un modo per farsi notare, era sinonimo di quella voglia matta di mettersi in evidenza e dimostrare di essere qualcuno.

Un campionato che permette al Torino di tornare nella massima serie e a Lentini di togliersi anche le prime soddisfazioni. Viene schierato con maggiore costanza dal mese di marzo, realizza il primo gol con la maglia del Toro nella sfida contro la Reggina vinta per 2-0 e conclude la stagione con 6 gol complessivi. Il giovane Lentini diventa l’idolo della Curva Maratona e Fascetti, a fine stagione, dovette rimodulare il suo pensiero: “Lentini può diventare il Donadoni del Torino”.

La Serie A di Lentini con Mondonico

Il Torino torna in Serie A e sulla panchina c’è Emiliano Mondonico. Allenatore che forse ha meglio compreso le sue qualità tecniche e umane. Lentini ne è consapevole e quando ricorda Mondo – scomparso il 29 marzo 2018 – dice: “Per me è stata una persona importantissima e lo ricordo sempre con grande piacere. Di ricordi ne ho tanti, per me è stato un grande allenatore e ha fatto togliere ai tifosi granata tantissime soddisfazioni, questo è ciò che conta di più”.

La stagione 1990/91 del Torino di Lentini e Mondonico è straordinaria. Per Gigi 40 presenze e 7 gol. Gioisce per la prima volta in Serie A il 23 settembre 1990, quando al 79’ di Torino-Inter segna la rete del 2-0 ad un certo Walter Zenga. Per i granata la stagione si conclude con un 5° posto, la qualificazione in Coppa UEFA e la vittoria della Mitropa Cup.

La stagione 1991/92 del Torino passerà alla storia, sia per eventi positivi che per quelli negativi. I granata raggiungono il 3° posto in campionato, a -13 dal Milan stratosferico e campione d’Italia dei vari Van Basten, Gullit e Rijkaard. In Coppa UEFA Lentini e compagni compiono un autentico miracolo arrivando a disputare la doppia finale contro l’Ajax. Sono però gli olandesi ad alzare il trofeo al cielo grazie al 2-2 di Torino e allo 0-0 di Amsterdam. Per Gigi è un’annata da record: 49 presenze, 9 gol e 3 assist. È anche l’inizio della fine del Torino. La situazione economica del club è drammatica, complici la Coppa Uefa persa in finale, una campagna acquisti faraonica e lo scandalo Tangentopoli che ha visto coinvolto anche il presidente Gian Mauro Borsano. Disastro totale.

Gianluigi Lentini durante il torneo Scania Fonte: Imago Images

Stagione 1992/93: il passaggio di Lentini al Milan

Le criticità economiche del Torino spezzarono quella squadra che aveva fatto gioire il popolo granata. Uno dei tanti sacrifici del club fu proprio la cessione di Lentini. Una scelta che accese la rabbia dei tifosi granata. Ben duemila tifosi si presentarono sotto la sede in Corso Vittorio Emanuele II: vennero distrutti i cancelli e le automobili, spaccati i vetri delle finestre e messi al fuoco i cassonetti dei rifiuti. “Se Lentini se ne va bruceremo la città” è stato uno dei cori più cantati e gettonati dagli ultras.

Per Gigi ci fu una lotta serrata tra Juventus e Milan, ma alla fine furono i rossoneri a spuntarla. Si trasferisce a Milano per una cifra record: 18,5 miliardi di lire. Una scelta che fa arrabbiare i tifosi del Toro, ma per Lentini si apre un altro capitolo importante della sua carriera. I bianconeri, visto il trascorso in maglia granata, forse non sono mai stati una possibilità concreta nella testa di Gigi: “Fui contattato una sola volta da Boniperti. È stata una cosa nata e morta lì. Alla Juve non sarei mai andato”.

Anche il suo passaggio in maglia rossonera fu tormentato da molti pensieri: “Io al Milan non volevo andarci. Fui molto combattuto: Torino è casa mia, sono granata dentro tutt’ora. Il giorno in cui andammo a Milano per firmare, cambiai idea in autostrada. Mancavano poche ore alla chiusura del mercato, in sede al Milan ci aspettavano Berlusconi e Galliani per le firme. Partimmo da Torino in auto io e i miei procuratori Pasqualin e D’Amico. Superato il casello di Milano feci fermare la macchina. E dissi ai miei procuratori: ‘Al Milan non vado più, torniamo indietro’. Momenti di panico, i procuratori chiamarono papà: ‘Gigi è impazzito’, avevano le mani nei capelli. Il tempo stava scadendo… Infine mi convinsero e oggi non mi pento: ci sono offerte che non si possono rifiutare. Se avessi seguito il cuore, sarei rimasto al Toro”.

L’impatto non è di certo esaltante, tenendo presente la cifra del trasferimento. Fabio Capello lo schiera 48 volte e lui risponde con 8 gol e 10 assist. I rossoneri vincono il 13° titolo della storia davanti ai cugini nerazzurri, vincono la Supercoppa Italiana contro il Parma e vengono battuti in finale di Champions League contro il Marsiglia. Un anno che, dal punto di vista dei trofei, sarà importante per Lentini. Il rapporto con Capello, invece, non passerà come uno dei migliori della sua calcistica.

Il tragico incidente di Lentini

La stagione 1993/94 è quella che probabilmente ha cambiato la sua vita e infranto tutta la sua carriera da predestinato. Il 2 agosto del 1993 Lentini stava tornando da un triangolare che venne organizzato per i 100 anni di storia del Genoa. Lungo l’Autostrada Torino-Piacenza ebbe un forte schianto con la sua Porsche. Gigi stava sfrecciando a 200 km/h e l’impatto avvenne perché aveva sostituito la gomma forata con il “ruotino”, accelerò troppo e perse il controllo della sua autovettura. Si venne poi a sapere che stava andando da Rita Bonaccorso, ex moglie di Totò Schillaci.

Ecco che cosa racconterà Lentini: “Mi ricordo che mi avevano portato la macchina da Milanello a Genova, in modo che dopo la partita potessi andare dove volevo come tutti gli altri. Prima ho bucato una gomma. Non sapevo che non potevo superare i 70 chilometri orari. La persona che mi aveva cambiato la gomma non mi aveva detto in modo specifico che non potevo superare quella velocità, mi aveva detto soltanto di andare più piano. Ma quella era una macchina che se andavi a 120-130 sembrava che eri fermo”.

Lotta tra la vita e la morte, entra in coma, dal quale si risveglierà solo dopo due giorni. Ma quel Lentini che riapre gli occhi non è più lo stesso. Il Milan gli mette accanto uno staff altamente qualificato, con Gigi che il 10 novembre torna ad assaporare il campo, tre mesi dopo quel terribile incidente. Furono giorni e mesi di speranza: “So perfettamente che dipenderà da me tornare il giocatore di una volta, addirittura meglio se possibile. Io darò tutto, anche perché vorrei contribuire a uno scudetto in cui credo e vorrei prendere parte a un Mondiale che mi affascina”.

Terminerà quella stagione mettendo a referto appena 10 presenze, vincendo uno Scudetto e una Champions da spettatore. Fisicamente si sentiva bene ma non è della stessa idea Fabio Capello. Allenatore che Lentini definirà un po’ il colpevole della fine della sua carriera: “Ero il giocatore più in forma di tutta la squadra, speravo di giocare titolare a Vienna contro l’Ajax. Purtroppo Capello non mi ha dato la possibilità e da lì per solo colpa mia ho interrotto la carriera ad alti livelli”. Al Milan ci resterà per altre due stagioni e concluderà la sua tormentata storia con i rossoneri dopo aver vinto praticamente tutto (3 scudetti, 1 Champions League, 3 Supercoppe Italiane e 1 Coppa Uefa) e totalizzando 96 presenze, 16 gol e 15 assist.

L’Atalanta, il ritorno al Toro e il Cosenza

Decide di ripartire dall’Atalanta e a Bergamo ritrova chi probabilmente non lo ha mai messo in discussione: Mondonico. Con la Dea segnerà 4 reti e terminerà la stagione a metà classifica. Ritrova il Torino l’anno successivo, ma Lentini non è più lo stesso, non è più quel giocatore che aveva fatto innamorare i tifosi granata grazie alla sua abilità nel saltare l’uomo. Riporta però il Toro in Serie A nella stagione 1998/99 segnando anche uno dei 4 gol promozione rifilati alla Fidelis Andria sul campo neutro di Benevento. Il 22 aprile 2000, contro l’Udinese, Lentini disputerà l’ultima partita con la maglia del Torino. La società granata gli fa capire che non rientra più nei piani del club, vuole affidargli un incarico nella dirigenza ma lui vuole ancora giocare. Conclude la sua carriera nei professionisti al Cosenza. Si trasferisce al Sud nel gennaio del 2001 con Lentini che diventa simbolo dei tifosi perché, dopo il fallimento, non abbandona la nave e disputa anche un campionato in Serie D dopo tra anni di B. Gigi si ritirerà all’età di 42 anni con la maglia del Carmagnola, squadra della città in cui è nato.

La storia di Gianluigi Lentini poteva indubbiamente essere molto diversa, ma ci sono vite che hanno un senso anche così. Il grande rammarico è stato quello di essere stato vittima di un incidente nel momento più importante della sua carriera, in un punto cruciale per ogni calciatore. Però la vita gli ha dato una seconda possibilità e, anche se non è diventato quello che tutti si aspettavano e credevano, sicuramente lui stesso avrà compreso e apprezzato il valore dell’esistenza umana. La vita è un dono.

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