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Grande Torino, i 70 anni di Superga. Racconto dell'ultima partita

L'anniversario della tragedia che cancellò una squadra eccezionale, rimasta nella memoria degli sportivi italiani

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Ci sono miti che nessuno si sogna di mettere in discussione. Miti più forti di tutte le invidie e l’antitifo. Il Grande Torino e figure epiche come Valentino Mazzola sono ancora oggi più che mai leggende proprio per il significato straordinario delle loro imprese sportive. Imprese che nessuno si sogna di mettere in discussione. Una squadra capace di dominare il campionato italiano a cavallo della seconda guerra mondiale e di essere l’emblema di un paese devastato, che stava risorgendo dalle sue ceneri. Una squadra che ha conosciuto una fine tragica alle 17.03 del 4 maggio 1949. Esattamente 70 anni fa, l’aereo che riportava la squadra a Torino da Lisbona si schiantò sulla collina di Superga coperta dalla nebbia provocando la morte di tutte le persone a bordo. La tragedia di Superga è una data indelebile per i tifosi granata e per gli amanti del calcio. Per intere generazioni tutti sapevano snocciolare come un rosario gli 11 eroi in casacca granata: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Valentino Mazzola, Ossola, gli eroi dei cinque scudetti consecutivi dal 1942 al 1949 che solo la guerra prima e l’incidente aereo poi riuscirono a fermare.

L’ultima partita del Grande Torino

Era il 3 maggio del 1949, allo Estadio Nacional di Lisbona il Grande Torino degli Invincibili giocava la sua ultima partita prima della tragedia aerea di Superga. L’amichevole con il Benfica era stata organizzata per rendere omaggio al capitano della squadra portoghese Francisco Ferreira che stava per terminare la sua carriera agonistica.

La partita era stata decisa nel febbraio dello stesso anno quando l’Italia aveva sconfitto il Portogallo per 4-1 con gol dei granata Menti, Mazzola e Maroso. L’esperto centrocampista lusitano confessò al capitano Valentino Mazzola che per il suo addio avrebbe voluto organizzare qualcosa di speciale, il suo sogno era quello di affrontare la squadra più forte del Mondo. Ed è così che Mazzola gli propose di giocare contro il suo Toro, gli Invincibili che avevano già vinto 5 scudetti consecutivi e nel nostro paese rappresentavano la forza di volontà e la tenacia degli italiani che come capitan Valentino si rimboccavano le maniche per ricostruire dopo le devastazioni della guerra.

Il Grande Torino stava per vincere il sesto scudetto: prima della trasferta di Lisbona, il 30 aprile aveva pareggiato 0-0 (senza Maroso, Grezar e il febbricitante Mazzola) al Meazza contro l’Inter secondo in classifica, mantenendo il distacco di 4 punti che gli assicurava un margine di tranquillità nella corsa al titolo.

Il giorno dopo l’aereo del Grande Torino volò per portare la squadra verso l’ultima partita. Il presidente Ferruccio Novo autorizzò la trasferta proprio perché era già sicuro della conquista dello scudetto. Non presero parte alla trasferta Sauro Tomà che era alle prese con un infortunio al ginocchio che gli segnò la carriera ma che gli salvò la vita, il secondo portiere Renato Gandolfi al quale fu preferito il giovane Dino Ballarin su insistenza del fratello e Luigi Giuliano, il capitano della Primavera che da poco era stato aggregato alla prima squadra ma che fu bloccato dall’influenza. Tra i giornalisti al seguito dei granata, rimase a terra il telecronista Nicolò Carosio perché il figlio aveva la cresima. Anche Mazzola era in dubbio per la trasferta a causa dell’influenza che lo aveva tenuto fermo a Milano, ma era stato lui ad organizzare la sfida e non voleva mancare alla partita evento contro il Benfica di Ferreira. Così strinse i denti e partì per giocare.

Il 3 maggio del 1949 lo stadio di Lisbona era gremito con 40.000 spettatori in attesa del big match. I granata passarono in vantaggio con Ossola dopo appena 9 minuti, ma il Benfica riuscì a ribaltare il risultato portandosi sul 2-1. Era una partita spettacolare senza esclusione di colpi: il Grande Torino, seppur reduce dalla partita di campionato decisiva contro l’Inter, faceva vedere i numeri che avevano reso la squadra famosa in tutto il mondo e in 5 minuti riacciuffava il pari con la rete di Bongiorni che era entrato al posto di Gabetto. Il primo tempo si chiuse però sul 3-2 per il Benfica che intanto era di nuovo passato in vantaggio.

Il secondo tempo è stato però più teso con i portoghesi che hanno cercato di mantenere il vantaggio. Il finale fu però scoppiettante con il Benfica che a 5 minuti dalla fine segna il quarto gol su rigore. Il Toro attacca a testa bassa, è l’ultima volta che sono stati visti su un campo di calcio l‘orgoglio e il famoso quarto d’ora. È così che Menti segna il terzo gol del Torino. La partita è terminata 4-3 per il Benfica, è stata una festa di sport il miglio modo per suggellare la carriera del capitano portoghese amico di Mazzola.

Quello che è successo il 4 maggio purtroppo è una cosa nota con il trimotore Fiat di ritorno a Torino, dopo lo scalo a Barcellona, che si è schiantato alle ore 17.03 sulla collina di Superga. Le vittime furono 31 tra i calciatori, lo staff tecnico, i giornalisti al seguito e l’equipaggio del velivolo. Dopo quell’ultima partita del Grande Torino, la squadra giocò tra la commozione del pubblico le restanti 4 partite di campionato con la Primavera contro i coetanei delle società avversarie. Le vinse tutte ed ottenne il sesto titolo. Finì l’era degli Invincibili e iniziò la leggenda del Grande Torino.

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