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Guerra Ucraina, Mircea Lucescu racconta la fuga e l'aiuto ai calciatori stranieri

Il tecnico della Dinamo Kiev racconta alla Gazzetta la sua odissea per uscire dall'Ucraina, e la sua conseguente mobilitazione per aiutare giocatori stranieri, specialmente sudamericani, a lasciare il paese.

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Guerra Ucraina, Mircea Lucescu racconta la fuga e l'aiuto ai calciatori stranieri Fonte: Getty Images

Il tecnico Mircea Lucescu, nel giorno del suo quarantesimo anniversario da allenatore, viene raggiunto telefonicamente dalla Gazzetta dello Sport, alla quale racconta la sua più che avventurosa partenza dall’Ucraina (attualmente allena la Dinamo Kiev) e l’odissea per salvare i calciatori stranieri bloccati in Russia.

Queste le dichiarazioni di Lucescu come riportate dalla Rosea, dopo essersi messo in salvo nella sua Bucarest:

“Ora però bisogna fare qualcosa per i ragazzi ucraini. Non possono uscire dal Paese, hanno famiglie e figli piccoli…Venivamo da un ritiro verso il campionato che stava per ricominciare, siamo stati in Spagna e ad Antalya con quasi tutte le squadre ucraine, una specie di mini campionato. Poi siamo tornati, giovedì sera abbiamo fatto allenamento in vista della partita di Coppa e poi è successo quello che non ci aspettavamo mai potesse succedere…”.

Tragico il racconto di come la guerra è arrivata fino a Kiev:

“A un certo punto mi sveglio di notte e il primo pensiero che mi viene è l’estate, ha presente quei temporali estivi pieni di lampi e tuoni fortissimi? E invece no, purtroppo no. Ci dicono che è cominciata la guerra, e che è arrivata alle porte della città. Kiev non se lo aspettava nessuno. Si pensava che ci sarebbe stata al massimo qualche schermaglia nel Donbass, nessuno credeva a un’invasione come quella che abbiamo visto. Poi le autorità hanno avvisato che ovviamente non si gioca più, che bisognava aspettare. E io ho aspettato, per un giorno. Nel frattempo avevo la mia ambasciata che mi pressava per lasciare l’Ucraina. Così ho parlato con il mio presidente, ho tranquillizzato i calciatori, abbiamo fatto in modo che anche le loro famiglie stessero in sicurezza. Poi io e il mio staff ci siamo messi in moto”.

Dopo di che, il racconto del suo viaggio fuori dall’Ucraina e del sostegno ai calciatori stranieri ancora bloccati nel paese:

“Diciassette ore durissime, tra dogane e posti di blocco. Per uscire dalla città siamo andati avanti a sette all’ora, le strade erano intasate dalle auto di quelli che scappavano. Fuori da Kiev abbiamo iniziato a prendere strade secondarie, mentre sulla strada incontravamo i convogli dei soldati che andavano verso sud perché intanto erano iniziati i bombardamenti provenienti dal Mar Nero. Così siamo arrivati alla frontiera con la Moldavia, dove c’erano code infinite. E lì ho visto scene brutte, di uomini che accompagnavano al confine donne e bambini, si assicuravano che passassero e poi tornavano indietro. Lì ti rendi davvero conto del dramma della guerra. Perché noi avevamo sentito solo quelli che io avevo scambiato per tuoni, quella gente no. Una volta a Bucarest ho parlato con Razvan Burleanu, il presidente della federcalcio romena, e ci siamo interessati per facilitare l’uscita degli altri calciatori stranieri, non solo quelli della Dinamo. Specialmente i sudamericani, che abbiamo fatto arrivare qui e poi ripartire. Ho seguito passo passo il loro tragitto, con Junior Moraes, l’attaccante dello Shakhtar, che ha fatto da leader del gruppo. Lo ringrazio per la forza che ha mostrato”.

Ma molti altri sono da ringraziare per il sostegno e l’impegno con il quale hanno supportato tuttigli sportivi e calciatori presenti sul territorio ucraino:

“Ceferin e i presidenti delle federazioni di Ucraina, Moldavia e Romania. Io ero obbligato moralmente a essere vicino a quei ragazzi, loro no. Ma ora c’è da guardare avanti. Se la guerra prosegue spero che l’Uefa dia ai calciatori la possibilità di svincolarsi, o di andare almeno in prestito per finire la stagione. Parliamo di ragazzi giovani con famiglia, devono continuare a giocare perché il calcio è il loro mestiere. E ha un potere enorme…Senza calcio il mondo è più duro. Avete visto cos’è successo con la pandemia? Teatri, cinema e altre forme di intrattenimento erano fermi e il calcio no, teneva desto l’interesse della gente anche senza pubblico e tra mille difficoltà. E appena hanno riaperto gli stadi la gente è tornata subito. Capite qual è la sua forza? È un bene che va preservato”.

Un punto sul campionato ucraino, per il quale si parla di giocare nei paesi limitrofi che si sono detti disposti a ospitare le gare:

“Sì, è una proposta sul tavolo. La Romania è disposta, Polonia e Ungheria anche, so che Ceferin ci sta pensando, se si vuole non sarà una cosa difficile da organizzare”.

Tra l’altro, ricordiamo che Lucescu allena il Ucraina dal 2004 (con un passato glorioso allo Shakhtar), e ha vissuto sulle propria pelle anche la crisi del 2014, e dunque capisce bene le sofferenze del popolo ucraino:

“Come quello di una terra di conquista, è la loro storia. Adesso la invadono i russi, prima nei secoli l’hanno fatto i polacchi, i mongoli, i tartari, i popoli germanici,… Non sono mai riusciti a formare uno stato forte e indipendente, e ora che l’hanno fatto arriva l’invasione. Proprio questo però ha contribuito a esserli estremamente orgogliosi del loro essere ucraini”.

Infine, un monito per la pace:

“Spero che si arrivi a un accordo politico, e che soprattutto ci si renda conto della prima necessità: non far morire altre persone. Ripeto: nessuno si aspettava una tragedia del genere, gli ucraini ascoltavano Putin e pensavano fossero schermaglie verbali, minacce. La storia ci racconterà sempre questa vicenda come quella di un Paese fratello che ne aggredisce un altro, è una ferita incredibile. Quando apriranno gli occhi di fronte al danno che stanno facendo, forse la smetteranno. Ora pensiamo alla pace, poi penseremo anche al calcio”.

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