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Ochoa, il portiere del Messico da leggenda: 5 Mondiali, le sei dita e il mito da Coppa del Mondo

Quasi portiere del PSG, autentico leader dell'Ajaccio, una carriera che è esplosa davvero solo in Nazionale e che lo ha condotto a diventare comunque protagonista: questo è Guillermo Ochoa

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Elisabetta D'Onofrio

Elisabetta D'Onofrio

Giornalista e content creator

Giornalista professionista dal 2007, scrive per curiosità personale e necessità: soprattutto di calcio, di sport e dei suoi protagonisti, concedendosi innocenti evasioni nell'ambito della creazione di format. Un tempo ala destra, oggi si sente a suo agio nel ruolo di libero. Cura una classifica riservata dei migliori 5 calciatori di sempre.

Veste la divisa come se ciò gli conferisse poteri sovrannaturali che, tra i pali, incantano quel dio pallone che lo ha inchiodato al terreno di gioco per 5 Mondiali e un tempo interminabile della sua esistenza.

Guillermo Ochoa, estremo difensore messicano che a cicli alterni sa scoprirsi quasi il migliore al mondo, appartiene suo malgrado e con una manciata di astuzia a un mondo di realismo magico che lo annovera tra i personaggi capaci di assimilarsi a una invenzione di Gabriel Garcia Marquez, a un protagonista dei romanzi di Isabel Allende. Si nutre di talento e di magia, leggende fagocitanti le sue stesse qualità tecniche.

Ochoa, portiere leggenda del Messico al 5° Mondiale in Qatar

Ochoa è nato a Guadalajara il 13 luglio 1985 e, quindi, in Qatar arriva con alle spalle 37 stagioni di lotta e di calcio che lo hanno condotto a sfiorare livelli elevatissimi ma in potenza, com’è stata la sua carriera fino ad ora.

Un portiere eccezionale durante le settimane del Mondiale e delle competizioni di maggiore visibilità internazionale, meno decisivo nei club in cui ha militato anche se la tifoseria gli ha riservato spesso un amore incondizionato, assurdo, pazzo.

Gli inizi fortuiti di Ochoa e il sogno PSG

A 19 anni era già con l’America, per una circostanza alquanto fortuita e che ha a che vedere assai con una lettura molto sudamericana dei bizzarri incroci tra le esistenze predestinate, anche se Memo (così lo chiamano) si guadagna grazie alla Copa América la sua parte da attore protagonista nel calcio che conta.

Nel 2007, forse insperatamente, entra nella top 30 dei calciatori candidati al Pallone d’Oro e EA Sports lo sceglie, insieme a Jozy Altidore, per la copertina di FIFA per il mercato nordamericano. Insomma è l’anno della consacrazione.

Eppure ci si mette di mezzo il destino. Il portiere messicano aveva un precontratto con il PSG, che aveva raggiunto l’intesa con il procuratore per portarlo a Parigi (al suo posto verrà ingaggiato Sirigu), ma il controllo antidoping sentenzia che Ochoa è positivo al clenbuterolo, uno stimolante che pare lo avesse contaminato per un’intossicazione alimentare.

Andrés Guardado, alla premiazione, sale con i guanti da portiere dell’amico e ne alimenta il mito, la leggenda.

La leggenda Ochoa: Ajaccio, Malaga e Liegi

E di questo si alimenta Ochoa. Leggende, fondate o sostenute, sono una costituente del suo rapporto con il pubblico che come per incanto sogna un portiere con sei dita.

In Francia arriva poi davvero, anche se in Corsica quando nel 2011 firma un contratto con l’Ajaccio e marca così un passaporto da internazionale: in Francia lo amarono tanto che (anche questa è leggenda) un tifoso decise di mettere un annuncio per vendere la casa e forse anche la madre purché rimanesse a fine stagione. Ma poi andò al Malaga e al Granada per provare infine anche il Liegi e vincere una Coppa del Belgio.

Le sei dita di Ochoa, portiere fenomeno del Messico

Come sia nata, la leggenda più divertente che lo investa è cosa da Mondiale: risale a quando incominciò quasi per scherzo l’azzardo di un suo estimatore che gli imputava sei dita per esaltarne le qualità da portiere soprattutto con addosso la maglia della nazionale messicana. Ochoa sta al gioco, non smentisce, si ricama un po’ su questa cosa che crea attesa, sorrisi e un divertimento che latita troppo spesso.

Ai Mondiali ha addomesticato centravanti dai numeri esaltanti, senza perdere quella verve che ogni quattro anni pare investirlo di poteri quasi sovrannaturali che non gli hanno certo conferito un dito in più per mano, ma quello spirito che a 37 anni lo ha condotto a occupare il posto da titolare lì tra i pali. Lewandoswki è avvisato.

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