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Paolo Pizzo la stoccata vincente: scherma, malattia e rinascita. Cosa insegna la sua vita straordinaria

La vita straordinaria dello schermidore Paolo Pizzo: dalla gioventù ai sogni, dalla carriera agonistica al tumore fino alla rinascita. Il futuro? Un capitolo speciale ancora da scrivere

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Poche discipline come la scherma insegnano come stare al mondo. Forse perché obbligano un atleta a prendere decisioni davvero su due piedi: bisogna fare tutto in poche frazioni di secondo, non si può stare a riflettere su qualcosa che va fatto e basta, sperando che la scelta per la quale si è optato sia quella giusta. Paolo Pizzo in tutta la sua carriera agonistica, che peraltro attende ancora il giorno in cui verrà ufficialmente chiusa, di decisioni su due piedi ne ha dovute prendere un’infinità.

Lo ha raccontato magnificamente nel libro “La stoccata vincente”, lavorato a quattro mani con Maurizio Nicita, diventato base di sceneggiatura per l’omonima pellicola andata in onda su Rai Uno, con l’attore Alessio Vassallo a interpretare lo schermidore siciliano.

Sbagliare, riprovare, vincere

Ad ogni stoccata il meccanismo si è ripetuto: istanti, centesimi di secondo nei quali scegliere come affrontare un rivale che in quello stesso momento sta facendo la stessa identica cosa. Vince chi pensa prima? Non è necessariamente detto.

Vince sicuramente chi riesce a tenere i nervi più saldi e a non farsi prendere dalla foga. Ma prima di arrivare ad avere un simile controllo su se stessi bisogna sbagliare, sbagliare e ancora sbagliare. E riprovare. Fino a che le cose vengono da sé e ripagano per le tante ore spese in palestra a imparare e migliorare.

Catania bedda

Paolo Pizzo in cuor suo sa che avrebbe potuto e voluto fare anche di più. Adesso che la sua storia è diventata un film, e che milioni di telespettatori hanno potuto apprezzarla e conoscerla da vicino, magari risulterà anche più familiare a quelle persone che per quasi due decenni l’hanno comunque visto di tanto in tanto competere sulle pedane di mezzo mondo.

Il sogno da bambino, quello che serbava nel cuore quando il papà Piero lo avvicinò al mondo della scherma, l’ha realizzato in un pomeriggio d’estate del 2011: a Catania, a due passi da casa, la medaglia d’oro conquistata nel campionato medaglia ha rappresentato la punta più alta di tutta una carriera.

Il tumore al cervello

A 28 anni Paolo sentiva che un cerchio si era chiuso: 15 anni prima gli era stato diagnosticato un tumore al cervello, che lui avrebbe voluto tenere nascosto, perché ogni volta che aveva una crisi epilettica si nascondeva e non lo diceva a nessuno.

Non fosse stato per la sorella Marina, che un giorno s’imbatté casualmente in una di quelle crisi, probabilmente babbo Piero e mamma Patrizia chissà quando sarebbero venuto a sapere di quel male che stava lentamente ma inesorabilmente divorando il proprio bambino.

Dopo una lotta durata 6 anni, quelli dell’adolescenza, quelli più belli per ogni ragazzo, ma che Paolo sente di non aver mai potuto vivere compiutamente, il lieto fine riconsegnò al quasi 20enne Pizzo l’opportunità di tornare a riappropriarsi della propria vita. E lui scelse la cosa che gli sembrava più congeniale: tornare a risolvere problemi. In poco tempo, su due piedi, senza pensarci troppo. Come la scherma impone.

La rinascita di Lipsia

Catania 2011 ha rappresentato il giorno del definitivo riscatto. Ci sarebbe stata poi anche Lipsia 2017: altro mondiale, alta storia, altra consapevolezza. E una finale che sembrava sul punto di sfuggirgli di mano, di colpo si trasformò in un altro meraviglioso trionfo: l’estone Novosjolov aveva già due titoli mondiali in tasca e arrivò a due punti dal mettersi un altro oro al collo, bravo a risalire dopo che Pizzo l’aveva spedito a debita distanza.

Fu in quel momento che il siciliano capì che c’era bisogno di prendere tempo: se ne andò in fondo alla pedana, riprese fiato e mise a posto la respirazione, che per uno schermidore è un requisito forse ancor più importante della tecnica di tiro in sé.

Per una volta il tempo della scelta fu assai più amplio e meditato: aveva imparato a conoscersi e sapeva che c’era bisogno di resettare e ripartire. Le tre stoccate successive, manco a dirlo, furono tutte portate da Paolo, che a distanza di 6 anni e dopo l’argento olimpico a squadre di Rio (e qualche delusione di troppo) tornò sul tetto del mondo.

Schermidori per la vita

La scherma è problem solving, ma aiuta a creare atleti che sanno poi come risolvere per davvero i problemi anche una volta scesi dalla pedana. Thomas Bach, presidente del CIO, è stato schermidore. Valentina Vezzali, che non necessita di presentazioni, è arrivata a ricoprire incarichi di governo.

Marco Arpino, Giampiero Pastore, Elisa Di Francisca e molti altri ancora sono figure ormai riconosciute in ambito dirigenziale e non solo. La scherma è una scuola di vita e Paolo Pizzo l’ha imparati presto.

Una vita straordinaria e ancora da scrivere

Lui che della vita sa tanto, non proprio tutto, ma abbastanza per potersi raccontare in un libro (“La stoccata vincente”) da cui è scaturito un film che certamente aiuterà la disciplina che ha prodotto più medaglie per lo sport italiano ai giochi olimpici ad essere ancor più popolare e vicina alla gente.

Lui che è testimoniale dell’Associazione Italia Ricerca contro il Cancro e che con le piccole Elena e Nicole, le figlie avute con la compagna Lavinia Bonesso (ex pentatleta), si “allena” in vista di quella che sarà la sua seconda vita nello sport, che con ogni probabilità lo vedrà scendere dalla pedana da atleta per risalirci di tanto in tanto come allenatore o mental coach.

È lì che Paolo s’immagina tra qualche mese (o anno), una volta che avrà capito che è giunto il momento di fare un passo di lato per farne ancora un altro nella vita.

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