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Che fine ha fatto Malesani: il Parma glorioso, il declino, la rinascita tra le vigne

La storia di Alberto Malesani, allenatore di successo negli anni '90, soprattutto col Parma, che dopo il declino ha deciso di dedicarsi al vino

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Matteo Morace

Matteo Morace

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Dall’esplosione di internet in poi Alberto Malesani è diventato celebre per i suoi sfoghi in conferenza stampa e per il suo modo diretto, e talvolta sboccato, di esprimersi, venendo relegato all’ingiusto ruolo di meme da web. Ma chi ha visto giocare le squadre allenate da Malesani, soprattutto negli anni ’90, sa quanto sia stato un allenatore rivoluzionario, abile e vincente.

Carriera da calciatore e il lavoro alla Canon

Alberto Malesani nasce a Verona il 5 giugno 1954 e inizia a giocare a calcio come centrocampista all’Audace San Michele, squadra del suo quartiere, con cui esordisce in prima squadra in Serie D intorno alla metà degli anni ’70, dopo una breve esperienza nelle giovanili del Vicenza. Da calciatore contribuisce alla promozione in Serie C dell’Audace nella stagione 1976/77, dopo la quale decide di appendere gli scarpini al chiodo, nonostante abbia solo 23 anni, perché si rende conto di non poter sfondare nel calcio.

Malesani era infatti si dotato di un ottimo senso tattico, ma era anche molto lento e macchinoso nei movimenti, caratteristiche che lo hanno sempre limitato. Conclusa la carriera da calciatore abbandona temporaneamente il mondo del calcio e inizia a lavorare per la Canon nella sezione logistica. Il lavoro per il colosso nipponico gli permette di viaggiare in giro per il mondo e proprio durante uno dei suoi viaggi ad Amsterdam si innamora dell’Ajax, che diventerà il suo modello d’ispirazione per il futuro.

Gli inizi al Chievo

Contemporaneamente al lavoro alla Canon, nel 1987/88 diventa l’allenatore degli allievi dell’Olimpia Montorio, dove mette subito in mostra le sua abilità, tanto da venire contattato la stessa stagione dal Chievo Verona, che gli offre la gestione del settore giovanile. Inizialmente titubante, Malesani viene convinto dall’allenatore della prima squadra, Carlo De Angelis, e accetta.

Al Chievo si occupa un po’ di tutto. Oltre al settore giovanile Malesani gestisce anche la campagna abbonamenti e i contratti dei giocatori. Dopo essere stato promosso prima a tecnico della primavera e successivamente a vice-allenatore, nel 1993 arriva a sedersi sulla panchina della prima squadra, che con lui ottiene subito la promozione in Serie B.

Malesani fa parte di quella generazione di allenatori che portano una ventata d’aria fresca al movimento calcistico italiano negli anni’90. La sua idea è prettamente offensiva, più vicina appunto a quella olandese che a quella notoriamente più difensivista italiana, e i moduli da lui utilizzati sono il 3-4-3 e 3-5-2. Alla guida della società veneta pone le basi per quelli che saranno gli ottimi risultati che il Miracolo Chievo otterrà all’alba del nuovo millennio con Luigi Delneri in panchina.

L’esperienza alla Fiorentina

Dopo tre stagioni al Chievo nel 1997 approda per la prima volta in Serie A quando viene ingaggiato dalla Fiorentina, dove allena campioni assoluti del calibro di Manuel Rui Costa e Gabriel Batistuta. Sotto la sua gestione i Viola giocano un calcio spumeggiante e il nuovo allenatore entra nelle grazie di tifosi e giocatori, che lo difendono sempre dalla società e dal presidente Vittorio Cecchi Gori, con cui i rapporti sono da subito conflittuali.

Nonostante il raggiungimento del quinto posto e la conseguente qualificazione in Coppa UEFA, obiettivo stagionale della società, Cecchi Gori decide di esonerarlo e di affidare la panchina a Giovanni Trapattoni, andando contro la volontà dei giocatori che volevano continuare sotto la sua gestione per dare continuità al progetto.

I successi al Parma

La stagione successiva si accasa quindi all’ambizioso Parma di Callisto Tanzi, una squadra costruita per puntare alla vittoria dello scudetto. La prima stagione si rivela la migliore per Malesani che, oltre a ottenere la qualificazione in Champions League tramite il quarto posto finale, vince la bellezza di tre coppe in pochi mesi.

Il 5 maggio vince la Coppa Italia in finale proprio contro la squadra che lo aveva cacciato l’anno precedente, la Fiorentina. Esattamente una settimana più tardi registra quello che rimane l’ultimo trionfo di una squadra italiana in Coppa UEFA/Europa League asfaltando il Marsiglia 3-0 in finale. Proprio quella finale viene definita da MalesaniIl momento più bello della mia carriera. Avevo la pelle d’oca, mi tremavano le gambe” durante un’intervista rilasciata nel 2021 al settimanale Specchio.

L’ultima trionfo arriva invece il 21 agosto in Supercoppa italiana contro il Milan di Alberto Zaccheroni. Questi successi permettono a Malesani di arrivare terzo alle spalle di Alex Ferguson e Valerij Lobanovs’kyj nella classifica dei migliori allenatori dell’anno. Nelle stagioni successive non riesce però a ripetersi. Il Parma ottiene risultati altalenanti, non entra mai in lotta per il titolo e dopo una serie di risultati negativi viene prima contestato dai tifosi e poi sollevato dall’incarico nel gennaio del 2001.

Fonte: ANSA

Alberto Malesani esulta dopo la vittoria della Supercoppa italiana contro il Milan

L’errore fatto per amore

Dopo sei mesi di inattività decide di accettare l’offerta dell’Hellas Verona. La prima metà di stagione sulla panchina degli scaligeri è esaltante. La squadra chiude il girone d’andata nella parte sinistra della classifica, ma quello di ritorno si rivela disastroso. Il Verona fatica a trovare gioco e risultati e una sconfitta all’ultima giornata contro il Piacenza, quando sarebbe bastato un pareggio per salvarsi, condanna la formazione di Malesani alla retrocessione in Serie B.

Sempre nel corso dell’intervista del 2021 a Specchio, Malesani racconta come la scelta di andare ad allenare il Verona sia stato uno sbaglio per lui, soprattutto considerando il momento della sua carriera in cui prese la decisione:

“Ora sono consapevole di quale sia stato il mio vero errore. Quando decisi di allenare l’Hellas, per amore di Verona, avevo raggiunto un livello molto alto. L’errore non fu tanto la retrocessione, ma il fatto che nella vita non bisogna mai fare passi indietro. Me lo hanno confermato diversi colleghi. Ho preso una decisione errata, avrei dovuto guardare avanti”.

Fonte: ANSA

Malesani e Delneri in occasione del derby di Verona

Il declino prima dell’addio al calcio

Dopo una stagione nella serie cadetta con l’Hellas, Malesani allena varie squadre, senza però riuscire a ripetere i risultati ottenuti negli anni precedenti. Dal 2003 al 2014 allena nell’ordine: Modena, Panathinaikos, Udinese, Empoli, Siena, Bologna, Genoa, Palermo e Sassuolo, venendo quasi sempre esonerato.

In questi anni però esplode il personaggio Malesani, che inizia a diventare virale sul web per le sue conferenze. Da quelle al Panathinaikos, dove viene costantemente attaccato e criticato da stampe e tifosi, a quella celebre del “Mollo… Ma che mollo” ai tempi del Genoa. Dopo sei anni senza panchine comunica il suo addio al calcio. Queste le sue parole sul sito della Roma:

“Ormai so sicuro, non allenerò più. Ho maturato questa scelta con razionalità nel corso degli ultimi anni. Quando senti che ti allontanano un po’, è inutile insistere. A un certo punto mi hanno messo dalla parte degli allenatori che consideravano finiti e con il tempo l’ho accettato. A volte ho provato del dispiacere, ma non traumi. Quelli proprio mai. Di una cosa sono rimasto male, invece… Che l’esperienza in questo Paese, e di conseguenza nel calcio, non venga premiata”.

Il vino

Oggi Malesani gestisce assieme alle figlie un’azienda vinicola di alta qualità La Giuva Winery. Una passione, quella per il vino, che ha sempre fatto parte di lui viste le sue origini, ma che è esplosa proprio grazie al calcio, per la precisione grazie a una trasferta a Bordeaux ai tempi del Parma come raccontato dall’ex-allenatore a La Gazzetta dello Sport:

“La passione è esplosa in una trasferta di Coppa col Parma, a Bordeaux. La sera siamo usciti a fare un giro e siamo capitati nella via dei vignaioli. Poi ci siamo fermati a mangiare, e ho assistito a una scena che mi ha affascinato: l’apertura di una bottiglia di pregio da parte del sommelier. Il modo in cui levò il tappo e versò il vino, l’accuratezza, la delicatezza dei gesti, mi lasciarono stupito. Pensai: quando torno a casa, compro della terra e la coltivo a vigneti”, l’ammissione di una passione nata anche grazie al calcio.

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