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Professionismo nel calcio femminile, superato il gap di genere: come cambia, guadagni e regole

Dalla stagione 2022-2023 è entrato in vigore il professionimo nel calcio femminile. Ora le calciatrici avranno dei guadagni maggiori e saranno tra le poche professioniste negli sport in Italia

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Luigi Di Maso

Luigi Di Maso

Giornalista

Giornalista sportivo e professionista nel mondo della comunicazione digitale. Lavora insieme a club, leghe e brand nel mondo del calcio. È ormai da anni una delle anime del Social Football Summit di Roma. Per Virgilio Sport cura gli approfondimenti relativi all’intreccio tra i mondi del calcio, della comunicazione e del marketing

Negli ultimi mesi ha tenuto banco con grande frequenza il dibattito sul passaggio al professionismo nel calcio femminile.

Da pochi giorni infatti, precisamente dal primo luglio, è entrata in vigore la normativa varata dal Consiglio Federale della FIGC che prevede lo status di professionista per le calciatrici che giocano in Italia. Tra perplessità e benefici della normativa si sono create alcune zone grigie sulla questione che è utile chiarire per comprendere oggettivamente vantaggi e criticità di una svolta che resta a prescindere epocale.

Cosa cambia con il professionismo nel femminile

Innanzitutto, va specificato che lo status di professioniste vale solo per le calciatrici di Serie A. Una condizione lavorativa che non prevede per forza stipendi faraonici, piuttosto un salario minimo che si calcola in base all’età e che per tracciare una media sarà fissato attorno ai 256mila euro lordi a stagione (stessa quota minima in vigore oggi per la Serie C).

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Per molte società che non hanno grandi sponsor alle spalle o la struttura di un club professionista nel maschile che possa tenere i rubinetti aperti, quella del professionismo e degli stipendi minimi non è proprio una notizia che è stata accolta con enorme entusiasmo, non è un caso, infatti, che una squadra storica per il movimento femminile come l’Empoli si sia trovata praticamente costretta a cedere il titolo sportivo al Parma.

Il professionismo non vale solo per le atlete ma anche per i club di A. Alcune società che hanno partecipato all’ultimo campionato vinto dalla Juventus sono società dilettantistiche che dovranno cambiare forma e statuto, oltre a garantire una fideiussione di circa 80mila euro per l’iscrizione al torneo Scandagliate le criticità, il passaggio al professionismo consegna al movimento femminile italiano nuovi orizzonti di opportunità da raggiungere nel medio periodo.

Con le tutele garantite dal salario minimo, le giovanissime atlete del futuro possono cominciare o continuare il percorso nelle giovanili con la consapevolezza di poter rendere quello della calciatrice un lavoro a tutti gli effetti. Anche per le atlete che attualmente militano in Serie A, avere uno stipendio minimo garantito permette di liberarsi dalle difficoltà di avere in molti casi una doppia occupazione, nonostante i ritmi degli allenamenti e delle partite rendano complessa la doppia attività. La nuova normativa inoltre induce la Federazione ad adeguarsi alle altre istituzioni virtuose del calcio mondiale e ad accelerare gli investimenti nel calcio femminile.

Le origini del calcio femminile

Se è vero che la percezione che si ha sulla nascita del calcio femminile può far pensare ad uno sport nuovo, avvisto di recente, in realtà il calcio femminile quantomeno in Inghilterra, ha radici e tradizioni che si rifanno ai primi anni del ‘900.

Il primo club di calcio femminile ha un collegamento diretto con la fabbrica inglese di Preston Dick, Kerr & Co. Nel 1917 le operaie decisero di fondare la Dick, Kerr’s Ladies Football Club, subito soprannominate “Le Signore del Kerr”.

La prima squadra in assoluto fu di ispirazione per molte altre realtà inglesi fino al 1921, momento in cui la Football Association emanò un provvedimento che bandiva il calcio femminile. Questa regola rimase in vigore addirittura per più di 50 anni (le ragazze continuarono “illegalmente” a riunirsi e a giocare, non avendo però il minimo riconoscimento o sostegno dalla Football Association).

In Italia il calcio femminile intravede le prime forme ufficiali più tardi rispetto all’Inghilterra, nel 1933, anno in cui un gruppo di ragazze di Milano fondano la prima squadra di calcio femminile italiano: il Gruppo Femminile Calcistico.

La FIGC in un primo momento aveva anche riconosciuto alle ragazze la possibilità di riunirsi e organizzare partite, ma solo a porte chiuse. Ci pensò poi il fascismo e la sua repressione a dirottare le prime calciatrici italiane verso altri sport considerati “meno maschili” come l’atletica.

Il primo campionato arriverà molto tardi, nel 1968 e a trionfare fu la squadra femminile del Genoa.

Il riconoscimento all’interno dei “tornei dilettantistici” della FIGC però arriverà solo nel 1986.

Quanto si guadagna nel calcio femminile?

Il confronto tra gli stipendi delle calciatrici italiane commisurati a quelli delle colleghe internazionali presenti a UEFA Women’s EURO 2022, marca ancora di più il gap tra il calcio del nostro Paese e quello del resto d’Europa.

Come spiegato in precedenza, le calciatrici della Serie A italiane hanno ottenuto un nuovo status e un salario minimo che entrerà in vigore solo dalla prossima stagione. Negli anni scorsi le atlete del movimento italiano si sono dovute accontentare di compensi ricevuti come rimborsi spesa definiti in accordo con la società per una cifra che non poteva superare i 30K euro lordi a stagione. A questa cifra potevano essere aggiunti rimborsi spesa e indennità per le trasferte, sempre con un limite quantitativo settimanale.

Una condizione che costringeva le calciatrici più pagate a non superare comunque un massimo di 40K euro lordi mensili (anche se la media calcolata su tutte le atlete si attestava attorno ai 15K euro). Al contrario, col passaggio al professionismo invece, la quota sotto la quale non sarà possibile scendere sarà fissata dalle tabelle federali:

  • Minimi retributivo dal 24° anno di età (classe 1998) – 26.664 euro lordi al mese (19.750 euro netti)
  • Primo contratto ex art. 33.2 NOIF (classe 2002) e dal 19° al 23° anno di età, quindi classe 2003-1999 – 20.263 euro lordi al mese (16.155 euro netti)
  • Minimo retributivo dal 16° al 19° anno di età (classe 2006-2003) – 14.397 euro lordi al mese (11.405 euro netti)

Seppur vero che in Europa e a livello internazionale sono i contratti con gli sponsor e i brand ad aumentare i ricavi delle atlete, è anche vero che pur solo considerando gli stipendi percepiti dal club di appartenenza, la differenza con l’Italia resta bissale. Samantha Kerr è arrivata nel 2020 a guadagnare 726,5 mila euro a stagione dopo il passaggio al Chelsea, mentre l’americana Alex Morgan quell’anno percepiva una cifra sopra i 400K euro, senza considerare però l’attività di sponsorship con brand come Nike, Coca Cola, AT&T e Volkswagen che portano nelle casse del capitano degli Stati Uniti 3,8 milioni di euro. Si attestano sui 400mila anche gli stipendi di altri nomi noti del calcio femminile come Megan Rapinoe e Ada Hegerberg. Gli appassionati di questo sport hanno ammirato negli ultimi 10 anni uno degli attaccanti più prolifici del calcio femminile, ovvero la brasiliana Marta che percepisce uno stipendio di 390mila euro a stagione all’Orlando Pride.

Gli sport professionistici in Italia

Il fatto che il professionismo nel calcio femminile sia arrivato solo nel 2022 non stupisce gli addetti ai lavori o chi nel corso della sua carriera è stato presentato a livello mediatico come sportivo, non essendolo a livello burocratico.

In Italia infatti sono solo 4 gli sport professionistici: il calcio, il basket (solo per quanto riguarda la Serie A), il golf e il ciclismo.

Fino a qualche anno fa anche la boxe e il motociclismo erano riconosciuti come sport professionistici. Un paradosso italiano che ha reso, almeno sulla carta nel corso dei vari anni, “atleti dilettanti” personaggi come Valentina Vezzali, Federica Pellegrini e Alberto Tomba.

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