Lillo Foti, presidente della Reggina dal 1991 al 2015, coinvolto con il suo club nello scandalo di Calciopoli nell’estate 2006, parla ai microfoni di Sportitalia (canale 60 del digitale terrestre e 225 della piattaforma Sky) e torna sulle vicende di quella stagione.
L’intervista è stata rilasciata a Piero Giannico all’interno del programma ‘Labirinto’, trasmissione settimanale di approfondimento e inchiesta di Sportitalia.
Accanto ai fasti arriva Calciopoli. Cosa è accaduto?
“Penso si sia andati al di sopra di quelle che erano le righe e ci sia stato tanto millantato. Il calcio riempie tanto la bocca ia protagonisti e a chi si avvicina. Commisi errori e di questo ne sono permettamente cosciente. Quell’anno, tra l’altro, la Juve aveve meritato di vincere il campionato sul campo perché era una grande squadra”.
Calciopoli è esistita realmente o era stata costruita ad arte per colpire determinate società e determinate persone?
“Spesso quando si ha potere occorre rendersi conto che ci sono delle regole. E qualche regola non è stata osservata. Ribadisco il millantato, la chiacchiera, le esagerazioni hanno contribuito a rendere Calciopoli al di sopra di quello che realmente era. Le faccio un esempio: la famosa chiave tolta dallo spogliatoio degli arbitri a Reggio Calabria era uno scherzo che non era permesso. La chiave e’ stata tolta ma dopo 30 secondi è stata rimessa. Chiaramente la comunicazione ai giornali ha fatto diventare quella porta dello spogliatoio del Granillo qualcosa di più grande di quello che realmente era. Chiaramente cio’ che è accaduto non era consentito, non era lecito”.
Ma le intimidazioni al direttore di gara in quella partita (Reggina-Juventus) ci furono?
“Ci sono state. In passato c’era più possibilita da parte dei dirigenti di potersi rivolegere agli arbitrati direttamente. E in quel momento storico ci sono state delle esagerazioni”.
Come si è sentito quando Reggina e Messina sono state indicate come società alleate di questo sodalizio criminale all’interno del sistema calcio?
“Posso rispondere solamente per quello che mi riguarda. Siamo di fronte ad una realtà povera dal punto di vista economico e tutto il resto è stato prodotto tutto attraverso il campo. La Reggina non ha fatto mai un’operazione con la Juve in 10 anni, produceva giocatori in casa. Non c’era questo rapporto di sudditanza, c’era un rapporto di stima e credibilità attraverso il lavoro. Qualcuno ha voluto coinvolgere anche la Reggina. Tutto nasce da qualche telefonata intercettata. Poi sul campo la Reggina, nel momento in cui ha avuto la penalizzazione, ha dato prova attraverso il campo stesso di essere più forte di tutto”.
Il campo ha dato le risposte a chi aveva fatto di tutto per affossare la Reggina e il presidente Foti…
“Dal punto di vista personale mi sono sempre comportato con grande linearità, guardando tutti in faccia e camminando a testa alta. La Reggina si è seduta a tutti i tavoli con grande rispetto nei confronti degli altri. Rispetto riconosciuto pubblicamente all’indomani dello spareggio con il Verona e quindi con la retrocessione in B. Le risposte le ha sempre date il campo”
E le risposte le ha date anche il presidente Foti? La Cassazione di recente ha provveduto al dissequestro delle quote societarie, di fatto la società tornata nelle sue mani. Questa vittoria che sapore ha per lei?
“Tante pagine particolari, si è voluto andare oltre quello che era necessario. Gli errori nella vita si commettono soprattutto per chi si sa assumere le proprie responsabilità”.
Moggi lo ha più rivisto?
“L’ho sentito. E’ una persona con cui mi sono anche divertito. Era un uomo con delle grandi capacità”.
Che rapporto aveva con i potenti del calcio italiano ed internazionale?
“Sono uscito dal calcio da un paio d’anni e non ho difficoltà a ribadire quello che ho pensato dal primo momento. Dico grazie al sistema-calcio, perchè mi ha permesso tutta una serie di confronti di grande qualità. Ho dato tutto il meglio di me stesso. Ho commesso degli errori, mi sono preso le mie responsabilità con decisioni tutte in prima persona. Avevo la gestione diretta della mia società. Conoscevo non solo i calciatori della prima squadra ma conoscevo tutti i 250-300 ragazzi che vivevano all’interno del Sant’Agata. Dove si svolgeva un’attività a tempo pieno”.
SPORTAL.IT