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Ciclismo, Peter Sagan dice basta: come te nessuno mai, né prima né durante. E dopo?

C’è stato un ciclismo prima di Sagan e ce ne sarà un altro dopo lo slovacco. E ce n’è stato uno anche in mezzo, quello (appunto) di Peter. Che sogna di chiudere per sempre a Parigi 2024

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C’è stato un ciclismo prima di Peter Sagan e ce ne sarà un altro dopo Peter Sagan. E ce n’è stato uno anche in mezzo, quello (appunto) di Peter Sagan, che ha mostrato al mondo un ciclismo ben diverso da quello che il mondo era abituato ad ammirare.

Un ciclismo che prima era fatica, sudore e sacrificio, ma che poi è diventato anche divertimento, genio e sregolatezza. E che adesso saprà reinventarsi nuovamente, con fuoriclasse all around (cioè in grado di vincere da marzo a ottobre) che in qualche modo avranno un debito di riconoscenza nei confronti del campione slovacco, che è stato il primo a sdoganare il concetto quando ha mostrato al mondo che si può essere vincenti tanto all’inizio quanto alla fine della stagione.

Peter ha cambiato il ciclismo da dentro

Basta questo per far capire alla gente quanto Sagan abbia cambiato il ciclismo “da dentro”, cioè riuscendo a offrirne una veste differente che prima ai più restava nascosta.

Rendendolo più rock, nel verso senso della parola: più vicino alla gente, più umano, più appetibile agli sponsor, più bello da vedere in tv. Insomma, cambiandone l’essenza e proiettandolo per davvero nel futuro.

Un fuoriclasse tra i campioni

Il nono posto ottenuto al Tour de Vendee, gara nella quale ha tirato la volata al compagno di squadra Dujardin Sandy (come cambiano le abitudini: quante volate hanno tirato a Sagan in tutta la sua carriera?), ha chiuso la sua lunga parabola su strada cominciata peraltro in Italia, con la Liquigas che per prima nel 2010 decise di scommettere su questo talento venuto dall’Est, un po’ fuori dagli schemi e capace spesso e volentieri di andare sopra le righe, tanto in gara quanto con le parole.

Nessuno all’epoca avrebbe potuto profetizzare una carriera tanto vincente e piena di stupore: per un decennio intero Sagan è stato l’emblema del ciclismo, per giunta in un’epoca nella quale di fuoriclasse non è che ne mancassero, da Froome a Nibali, da Contador a Cancellara, da Cavendish a Valverde e via discorrendo.

Un precursore in tutto e per tutto

E il fatto che potesse districarsi senza troppe difficoltà tra l’attività su strada e quella nella mountain bike, il primo e l’ultimo amore (proverà a rientrare in gioco per la prova MTB di Parigi 2024) rappresentava di per sé già un unicum assoluto: solo dopo sono venuti i Van Aert, i van der Poel e i Pidcock, gente che corre in strada da marzo a ottobre ma che poi d’inverno si diletta nei circuiti del ciclocross.

Insomma, un precursore in tutto e per tutto, che può portarsi appresso solamente un cruccio: qualche piazzamento di troppo in seconda e terza e posizione, senza il quale adesso avrebbe un palmares ancora più ricco.

La vera volata cominciava quando si sapeva dove fosse Sagan

La verità è che in ogni volata disputata nel secondo decennio del millennio, immancabilmente la ruota più “battezzata” era quella di Peter. Che spesso correva da solo, e non in senso figurativo (ad esempio ai mondiali, dove al massimo la Slovacchia gli affiancava il fratello Juraj), mentre tutti i rivali gli gettavano gli occhi addosso.

La vera volata cominciava quando si sapeva dove fosse Sagan, e poi bisognava pensare alla propria. Così facendo tante volte saltava fuori all’ultimo un coniglio dal cilindro che sprintava più forte dei forti e finiva per relegare Peter al secondo o terzo posto.

Una bacheca da sogno

Certo una bacheca come la sua vorrebbero avercela in tanti: tre maglie iridate, peraltro tutte in fila (2015, 2016 e 2017), un titolo europeo (2016), un Giro delle Fiandre (2016), una Parigi-Roubaix (2018), 7 maglie verdi consecutive al Tour de France, dove ha conquistato 12 tappe, più 4 alla Vuelta e una al Giro d’Italia.

E tante altre vittorie, 121 in totale, anche se contando i piazzamenti si sarebbero potuto sfondare tranquillamente le 200. L’ultima, giugno 2022, nei campionati nazionali slovacchi, che quest’anno ha chiuso al secondo posto dopo aver centrato un secondo posto anche in una tappa alla Vuelta de San Juan. E con un solo vero rimpianto: non essere mai riuscito a vincere la Milano-Sanremo, dove s’è piazzato due volte secondo e quattro volte quarto.

Il Joker del ciclismo

“Why so serious?” è la scritta che s’è tatuata sul braccio, che meglio di qualunque altra frase lo identifica. È il motto del Joker, e un po’ Sagan è stato il Joker del ciclismo.

Tanto che già in questi ultimi due o tre anni, quando la sua parabola è andata in calando, la mancanza in gruppo un po’ s’è avvertita.

Peter era tagliente con le parole e non ha mai badato troppo a tenersele per sé, pur pesandole con grande parsimonia. Ma sapeva bucare lo schermo, e da quando ha fatto irruzione sulla scena il ciclismo ha davvero cambiato pelle e modo di pensare.

Chiuderla per sempre a Parigi 2024

Già adesso che s’è tornati a un mondo un po’ più ingessato se ne nota la differenza. Sagan è stato personaggio dentro e fuori dalla strada: adesso tornerà al suo primo amore, cioè la mountain bike, e proverà a regalarsi un ultimo grande sogno, perché chiudere la carriera agonistica a Parigi sarebbe davvero il modo migliore per dire definitivamente addio alle corse.

Dovrà però guadagnarsi il pass, e non sarà una cosa semplice. Come non lo è stato per tanti appassionati rassegnarsi all’idea di non vederlo più in gruppo. Ma basterà una comparsata in tv o all’arrivo in qualche tappa di un grande giro o di una classica monumento per riannodare il filo dei ricordi e ripensare a quanto è stato bello vivere nell’era di Peter Sagan.

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