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Ciclismo, Sonny Colbrelli e quella spina nell'anima: "A volte avrei voluto non risvegliarmi"

L'ex ciclista, oggi direttore sportivo del Team Bahrarin Victorious, racconta le sue sensazioni a quasi due anni da quando venne salvato da un defibrillatore.

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Non c’è frase che meglio di qualunque altra può rendere merito e giustizia a Sonny Colbrelli. “Con il cuore nel fango”, che è al tempo stesso dritto e rovescio della stessa medaglia. Quel cuore che il 21 marzo del 2022 ha smesso di battere per alcuni lunghi interminabili secondi, oppure quel fango che il 3 ottobre 2021 gli si era appiccicato in faccia nel giorno in cui scriveva il proprio nome sull’albo d’oro della Parigi-Roubaix. Una toccata e fuga in paradiso che oggi, a quasi due anni da quel terribile pomeriggio di Barcellona dove tutto stava per finire, il corridore lombardo ricorda ancora con terrore, ammettendo che anche il presente non è così bello e roseo come sperava che fosse quando capì di averla scampata bella.

Le scorie di un dolore che resta dentro

Colbrelli ha vissuto una carriera ad alto livello di tutto rispetto, col solo rimpianto di aver raggiunto l’apice appena prima di dover scendere dalla bici. Insomma, quando le cose stavano prendendo la piega giusta, la vita gli ha presentato il conto E in un’intervista a Il Giornale ha raccontato le sue sensazioni in coda a un anno per lui non semplice. “Non è stato facile dire basta da un giorno all’altro, dopo aver peraltro toccato il cielo con un dito. La Roubaix era la corsa dei mie sogni e l’avevo fatta mia, ma pochi mesi dopo mi ritrovavo in un letto d’ospedale”.

“Sono contento di essere vivo – ha aggiunto – ma in certi momenti ammetto che avrei preferito non risvegliarmi. Grazie a Dio ho avuto vicino persone che mi vogliono bene, su tutti i miei figli Tomaso (7 anni) e Vittoria (5). Mi sono anche dovuto far aiutare da Paola Pagani, la mia psicologa, che tutt’ora mi segue. Nel frattempo ho visto il baratro e i fantasmi e in quel periodo ho fatto qualche sciocchezza, che mi sta costando carissimo e che mi hanno portato lontano da Adelina, la mia compagna. Ho rotto qualcosa di prezioso e di unico che andava rispettato e protetto, e svegliarmi solo non è facile. E temo che non potrò riparare il danno che ho fatto”.

Il ciclismo di oggi: Tiberi l’uomo del futuro

Se la crisi familiare genera dolore, la seconda vita nel ciclismo è un libro tutto da scrivere. Colbrelli, che a novembre ha conseguito il patentino da direttore sportivo, ha un accordo con la Bahrain Victorious con la quale collaborerà soprattutto nel periodo delle classiche di primavera, salendo a bordo dell’ammiraglia. “Lavoro per Team Bahrain e sono testimonial di alcuni brand. Sono felice di poter avere un ruolo da tecnico, spero sia l’inizio di qualcosa di veramente importante”.

Sul futuro del ciclismo italiano, l’ultimo vincitore di una classica monumento ammette la necessità di trovare nuovi prospetti in grado di non far rimpiangere quelli passati. “Ci manca un Nibali, ma bisogna lasciare crescere i nostro ragazzi. Uno come Antonio Tiberi, che conosco bene poiché corre con la Bahrain, va aspettato perché ha mezzi notevoli. Poi credo nella maturazione di Baroncini, nel rilancio di Bettiol, senza dimenticare che abbiamo un talento come Ganna che ci regalerà altre soddisfazioni. A livello assoluto, la generazione attuale dei Pogacar, Vingegaard, Van Aert, van der Poel, Roglic ed Evenepoel è davvero fenomenale”.

Tra politica e voglia di lavorare con i ragazzi

Nella seconda vita di Colbrelli, anche al di fuori del ciclismo, potrebbe essersi un impegno politico. Ha corso per le regionali nelle liste di Forza Italia, ora pensa soprattutto a come poter cercare di migliorare la sicurezza dei ciclisti sulle strada. “E mi piacerebbe fare anche qualcosa per i ragazzi e con i ragazzi. Insegnare loro non solo ad andare in bicicletta, ma anche ad essere utili alla collettività. E vorrei anche introdurre nelle scuole di ciclismo lezioni di pronto intervento, magari insegnando loro a utilizzare anche un defibrillatore: io sono stato salvato così, e questo può servire sia per noi atleti, sia per le persone comuni”.

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