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Giro d'Italia, tappa 13: Pedersen fa un altro sport, ma che bravo Van Aert. Del Toro è "mister abbuono"

Giro d'Italia, 13a tappa: ennesima prova di forza di Pedersen, che si porta Van Aert a ruota e firma il poker di vittorie. Del Toro corre sempre all'attacco e guadagna altri secondi

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Vince allo sprint, vince anche sulle rampe, come quella del Monte Berico: Mads Pedersen è in stato di grazia, ma è soprattutto un signor corridore che forse (lo diciamo sottovoce) meriterebbe un po’ più di credito. Quel credito che continua a conquistare tappa dopo tappa: con quella di Vicenza il danese ha calato un poker pesantissimo, con Wout Van Aert che suo malgrado s’è dovuto accontentare una volta di più della piazza d’onore (eppure ha poco da rimproverarsi). Alla fine però l’uomo del giorno è sempre lui: Isaac Del Toro, “mister” abbuono, visto che dovunque c’è un traguardo che possa aiutarlo ad aumentare il gap sui rivali è il primo ad accendersi.

Del Toro sa correre solo all’attacco: è davvero un male?

Il borsino di giornata è stato nuovamente favorevole al messicano, che tra il Red Bull KM (dove ha chiuso terzo alle spalle di Scaroni e Ayuso) e l’arrivo ha rosicchiato 5 secondi al compagno di squadra e 9 a tutto il resto della compagnia della generale. Soprattutto però è il modo col quale ha corso Del Toro a impressionare una volta di più: sempre nella parte giusta del gruppo, come quando la Ineos ha attaccato e fatto il buco, obbligando Ayuso, Tiberi e Ciccone a recuperare il terreno perduto (non senza fatica).

Una leadership tutt’altro che sprovveduta: se davvero questo è il tempo che serve a Del Toro per imparare a correre con la maglia di leader sulle spalle, allora è giusto affermare che il ragazzo sta bruciando le tappe. Perché di cedimenti non se ne parla: dalla crono di Pisa ha rosicchiato secondi preziosi su tutta la concorrenza, anche se qualcosa nella pancia del gruppo si sta muovendo. E al netto di qualche “critica” ricevuta da chi ritiene che si stia spendendo troppo, rischiando poi di pagare il conto nella terza settimana.

Roglic e Carapaz in controllo, Ciccone e Tiberi balbettano un po’

Monte Berico, oltre a mostrare un Pedersen straripante, ha detto però che ci sono corridori che quando la strada comincia a salire finiscono per fare più fatica rispetto ad altri. È il caso di Ciccone, che ha giocato da stopper per favorire prima l’allungo di Vacek (con Bardet, ripresi ai 600 metri dall’arrivo), ma che non è sembrato troppo continuo in salita.

Roglic al contrario qualche segnale l’ha mandato: forse avrebbe potuto fare di più sulla rampa finale, ma ha recuperato posizioni (ha chiuso sesto) facendo capire che il meglio deve ancora venire. E Tiberi? Giornata strana per il leader della Bahrain: lo strappo della Ineos lo ha costretto a gestirsi e a non andare fuori giri su una salita comunque di terza categoria, il che qualche dubbio inevitabilmente l’ha seminato (molto meglio nel finale). Redivivo Bernal, sempre sul pezzo Carapaz. Insomma, aspettando le salite vere, il Giro continua a offrire il solito copione: Del Toro gioca al gatto col topo, ma prima o poi la strada dirà se è solo un bluff po’ qualcosa di più.

Lefevere “consiglia” la UAE. E stronca il ciclismo italiano

A margine della tappa, di per sé bella scoppiettante, hanno fatto rumore le parole pronunciate da Patrick Lefevere, storico general manager della Soudal Quick Step. Che parlando del dualismo “casalingo” tra Ayuso e Del Toro ha fatto capire di essere sostanzialmente in linea con quanto fatto sinora dalla UAE.

“Hanno due corridori che, salvo sorprese, monopolizzeranno i primi due posti. Per me è sempre meglio avere più cavalli che uno solo: lo facevamo anche alla Mapei ai tempi delle classiche, quando avevamo Franco Ballerini e altri potenziali vincitori. Certo, Ayuso e Del Toro non devono fare l’errore di correre l’uno contro l’altro: si vince di squadra, e la UAE questo Giro può solo perderlo. Poi la strada dirà chi arriverà in rosa a Roma e chi chiuderà alle sue spalle”.

Da Lefevere però è arrivato anche un giudizio piuttosto netto sullo stato generale del ciclismo italiano. C’è da piangere, e lo dico con dispiacere. Tolto Reverberi e tolto il sempre lodevole Basso, non c’è traccia di squadre World Tour e tanto meno di gente che voglia investirci su. È qualcosa che mai mi sarei aspettato di vedere”.

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