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Compie 54 anni Roberto Mancini, primo bad-boy

Ribelle, geniale, talentuoso, quante storie da raccontare

27-11-2018 09:26

Compie 54 anni Roberto Mancini, primo bad-boy Fonte: Ansa

Ora che, a 54 anni che compie oggi, fa l’allenatore della nazionale italiana ha la faccia seria, i toni pacati e non fa pazzie. Ma chi è giovanissimo non sa forse che Roberto Mancini da calciatore è stato uno dei primi bad-boy del calcio italiano. Tanto geniale e talentuoso quanto ribelle e irascibile. Da tecnico ha bruciato le tappe, senza passare per il via ma arrivando direttamente a una panchina importante (la Fiorentina) per conquistare poi gli scudetti sulla panchina dell’Inter, quelli vinti a tavolino e quelli ottenuti sul campo, da giocatore ha fatto la storia della Sampdoria, ma anche della Lazio. La sua carriera è un lungo elenco di aneddoti e curiosità. Se oggi con la Nazionale ha fatto pace, da giocatore non è stato così. Tormentata la sua avventura in azzurro. Con Bearzot se la giocò per una bravata. Il Vecio lo fece esordire durante la tournée americana del maggio 1984. Un tempo contro il Canada, un tempo contro gli Stati Uniti, a New York. La sera, Mancini, con Tardelli e Gentile, abbandona il ritiro per tuffarsi nella Grande Mela.

BOCCIATO DA BEARZOT – «Andammo allo Studio 54, in altri locali alla moda. Avevo vent’anni e vedevo l’America per la prima volta. Il giorno dopo saremmo tornati a casa e insomma pensai che un giro per il centro non avrebbe fatto male a nessuno. Ma Bearzot non la prese al trettanto bene: ero l’ultimo arrivato e forse da me si aspettava il rispetto delle regole più elementari. Il giorno dopo mi fece una scenata e se ne andò con queste parole: “Tu con me hai chiuso “. Testuale. Fu proprio così: non mi richiamò mai più in Nazionale. Con una telefonata magari avrei sistemato tutto, ma allora mi rodeva il pensiero di essere stato l’unico a pagare». Anche con Vicini e Sacchi non andò molto meglio. La sua vera Nazionale era la Samp. Dove era uno dei “sette nani” che comandavano. Col Mancio c’erano Vialli, Mannini, Lombardo e tutta la banda. Mancini era «Cucciolo». Da giocatore alla Sampdoria disegnava lui le divise sociali, sceglieva il tessuto personalmente, si occupava anche dell’abbigliamento dei compagni nel dopo-gara. Da allenatore ha introdotto la moda della sciarpa, rigorosamente di cachemire. Da giovane doveva andare al Milan per un provino ma la lettera di convocazione non arrivò mai. Qualche anno dopo, Mancini scoprì che il Milan aveva spedito la lettera all’indirizzo sbagliato: non all’Aurora (dove giocava Mancini) ma alla Real Jesi.

LUI E GLI ARBITRI – Possiede uno yacht divenuto famoso all’inizio del 2000 quando – invitandolo per un giro in mare – convinse l’allora centravanti della nazionale Bobo Vieri a firmare per la Lazio, di cui era allenatore. Lo yacht è un trenta metri, battezzato «Firefly». Mancini negli anni è divenuto anche imprenditore nautico. Il paddle è il suo grande hobby, scoperto qualche anno fa. Gioca a Bologna, con un ristrettissimo gruppo di amici, al Tennis Club Aeroporto. Con gli arbitri invece non ha mai avuto un bel rapporto. Nel gennaio del 1987: la domenica Mancini se ne esce con una sparata sconcertante, al termine di Atalanta-Sampdoria. Rimprovera all’ar­bitro Boschi di non averne azzeccata una e conclude: «I tifosi invece che picchiarsi tra loro, dovrebbero invadere il campo e suonarle a certi arbitri». Il 5 novembre 1995, quando Nicchi lo ammonisce per simulazione dopo uno scontro in area con Pagliuca, l’Italia scopre che il Mancio è un campione coi nervi a fior di pelle. Si toglie la maglia, si butta a terra, chiede a Eriksson di essere sosti tuito e quando inevitabilmente Nicchi lo espelle, lui abbandona il campo gridando a squarciagola di aver chiuso col calcio e con gli arbitri. Pochi mesi dopo una scena analoga con Bettin. Anche Eriksson resta senza parole: «Bisogna accettare il fatto che qualcosa in lui si è rotto». Lascerà la Samp per ultimo ma qualcosa si era davvero spezzato prima, come rivelò lui: “Quando Vialli andò via piansi, eravamo in un ristorante con altri giocatori e lui ci disse che stava andando dal presidente perché c’era l’opportunità di andare alla Juve. Speravamo che lui o Mantovani ci ripensasse, ma poi andarono via 2-3 giocatori e cambiò tutto. Lì finì la mia giovinezza, si può dire, perché arrivò gente più giovane di me. Con la morte di Mantovani finì la nostra Sampdoria”. Oggi il bad-boy è diventato uomo maturo, a 54 anni. Ma la classe e l’eleganza restano e non hanno età.

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