Francesca Schiavone sceglie e misura le parole, come mai forse nella sua carriera di tennista, quando le interviste e le conferenze stampa erano l’ordinario per una come lei. Per una delle tenniste più forti che abbiamo visto sui campi, per una delle migliori di sempre, per quella ragazza della Milano nebbiosa e uggiosa capace di splendere al Roland Garros e ancora di più in quel dopo, che è coinciso con la malattia.
Francesca narra e ripercorre le complicate vie della malattia e della sua esperienza di vita, in una famiglia meravigliosa e allegra e legata in un’intervista al Corriere della Sera.
Francesca Schiavone e la lotta contro il linfoma
“Diamo troppe cose per scontate, la malattia invece ti insegna a stare calato nel presente e a goderti ogni istante — racconta la Schiavone —. Io ne sono la dimostrazione: se hai un sogno, puoi realizzarlo”. Anche guarire dal linfoma di Hodgkin è un sogno: “La malattia è una galera. Oggi apprezzo il dono della vita. Sono sempre andata a messa, mi ci portava la nonna. Credo in forze superiori a noi e, finita la chemio, mi ero ripromessa di pregare di più. Nella casa in campagna ho libri di psicologia e filosofia: quando diventano complessi mi incasino, vado avanti, torno indietro. Però l’energia dentro di me la sento”.
La vita dopo il tumore: il libro, i sogni e l’amore
Una sera disperata, dopo una sconfitta in Sicilia, ha vissuto il momento più buio: “Avevo la sensazione di non ripagare i sacrifici che i miei stavano facendo per me. Passai nelle vicinanze di un ponte, pensai: basta un passo. A chi non è capitato? Siamo soli, in campo e nella vita. Forse solo un figlio può colmare questo vuoto”. Ora che ha compiuto 40 anni, alla giornalista del Corriere che raccoglie la sua testimonianza, dice: “Io sono amore”.
Anche il suo libro è un atto d’amore nei confronti dei genitori, mamma Luiscita che è stata a sua volta malata e che lei ha descritto così: “La vera guerriera di famiglia è lei, io al confronto sono un micetto”. Il passaggio più intimo è Francesca che lava la schiena alla madre: “Pensai che era bellissimo riappropriarmi di lei, e forse pure di tutto il tempo che non avevamo mai avuto per stare davvero insieme”. Nel suo presente e nel suo futuro ci sono il pianoforte e il sogno di una scuola di tennis, c’è una serenata per Sileni, partner nel bistrot e nella vita: “Non ho bisogno di camminare mano nella mano con lei per strada, ma è la mia forza tranquilla: ha un carattere che placa il mio mare mosso”.
E la partita contro la malattia, quel linfoma che l’ha messa alla prova. “Avevo il cuore allenato dallo sport, le vene hanno ricevuto buchi su buchi ma hanno retto. La dottoressa mi ha chiesto costanza: vieni per la chemio ogni due settimane, prendi la pastiglia, segui la dieta. La disciplina che richiede voler guarire non l’ho patita: me l’aveva già data il tennis. La terapia ha bruciato l’atleta, e sono tornata un essere umano“.
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