Un capitolo chiuso ma Jennifer Boldini invita a rompere il silenzio. La pallavolista della Uyba Busto Arsizio sui social pubblica un lungo commento sulla vicenda che l’ha vista vittima di stalker dopo che l’uomo che la perseguitava è stato assolto per infermità mentale.
La vicenda
Jennifer Boldini ha dovuto attraversare un lungo calvario cominciato circa un anno fa quando un uomo di 41 anni ha cominciato a mandarle dei messaggi suoi social. Un inizio soft con complimenti per le sue gesta sportive e per il suo aspetto fisico, messaggi a cui la pallavolista italiana ha deciso però di non rispondere e da quel momento è cominciato l’inferno. Le interazioni del 41enne hanno infatti cambiato completamente tono fino a diventare delle vere e propria intimidazioni. Jennifer ha dovuto attraversare un periodo di ansa, cambiare le sue abitudini arrivando al punto di non poter più uscire di casa.
L’assoluzione dello stalker
Il ricorso alla giustizia non sembra però aver prodotto gli effetti sperati per Jennifer visto che l’uomo che la perseguitava è stato di fatto assolto dopo una perizia psichiatrica che avrebbe dimostrato la sua incapacità di intendere e di volere. “Ha un vizio di mente”, si legge nelle carte che hanno portato alla decisione di metterlo in libertà vigilata per un anno con l’obbligo di seguire un percorso terapeutico.
Boldini: “Il silenzio non deve essere la risposta”
Jennifer Boldini però ha deciso di prendere in mano la sua vita e con un post su Instagram parla del suo percorso, si offre come un esempio per altre persone che stanno attraversando quello che anche le ha vissuto: “Oggi scelgo di parlare. L’ultimo anno mi ha messa di fronte a una sfida che non avrei mai pensato di dover affrontare. Essere vittima di stalking non lascia segni visibili, ma incide profondamente sulla percezione di sé e sulla capacità di affrontare la vita con serenità. Ogni gesto quotidiano, ogni luogo frequentato, era accompagnato da una sensazione costante di vulnerabilità e impotenza. Mi sono ritrovata a dubitare di me stessa, della mia capacità di reagire e del mio valore come Persona, come Donna”.
“Per cercare di proteggermi, inizialmente mi sono chiusa in me stessa, sperando che con il tempo tutto si risolvesse. Ma quel tentativo di difesa si è trasformato in una prigione emotiva, che mi ha fatta sentire ancora più fragile, incidendo non solo sulla mia mente, ma anche sul mio corpo. Ho iniziato a somatizzare il peso delle emozioni negative che stavo vivendo, rendendomi conto, a un certo punto, che da sola non potevo farcela. È stato allora che ho trovato il coraggio di chiedere aiuto”.
“Ed è proprio per questo motivo che ho fortemente voluto parlare oggi. Ho avuto la fortuna di avere al mio fianco persone e istituzioni che mi hanno supportata, ma so che non tutte le vittime possono contare sullo stesso aiuto, o magari non trovano il coraggio di parlare, come è successo a me all’inizio. Un grazie di cuore a chi mi è stato vicino: alla mia famiglia e alle persone a me care, alla società e alle compagne, all’avvocato e alle forze dell’ordine. Concludo oggi un capitolo doloroso, ma spero che questa mia voce possa offrire supporto a chi sta attraversando esperienze simili. Ognuno di noi merita rispetto, protezione e ascolto. E il silenzio non deve mai essere la risposta”.