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L'addio di Cesare Prandelli al calcio: tachicardia, ansie e aspettative. "Mi mancava il respiro"

In un'intervista confessione al Corriere della Sera, l'ex allenatore svela le ragioni profonde dell'addio alla panchina e la sua vita oggi

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Elisabetta D'Onofrio

Elisabetta D'Onofrio

Giornalista e content creator

Giornalista professionista dal 2007, scrive per curiosità personale e necessità: soprattutto di calcio, di sport e dei suoi protagonisti, concedendosi innocenti evasioni nell'ambito della creazione di format. Un tempo ala destra, oggi si sente a suo agio nel ruolo di libero. Cura una classifica riservata dei migliori 5 calciatori di sempre.

Quando decise di tornare ad allenare, era una persona che aveva introiettato i ritmi della natura, che aveva dedicato all’azienda che, con la sua compagna, aveva consentito crescesse e esprimesse le potenzialità produttive e commerciali delle prelibatezze coltivate. Erano giorni lontani, molto distanti da quelli vissuti sulla panchina della Fiorentina, dal calcio adrenalinico che aveva vissuto da giocatore e anche da ct, quando l’Italia era cosa sua.

Cesare Prandelli aveva deciso di tornare, senza immaginare quanto ciò lo avrebbe modificato, toccato, condizionato nel profondo. E costretto a misurarsi con l’evidenza della necessità di prendersi tempo.

Prandelli e quel vuoto spaventoso

Al Corriere della sera, Prandelli ha restituito il senso di quel cambiamento, affidando a un’intervista sincera e umanamente ricca, intensa, un frammento di quanto ha attraversato:

“Avevo bisogno di staccare da quella vita frenetica, un po’ schizofrenica. È stato un momento stregato: gli stadi vuoti, una sensazione di solitudine che mi avvolgeva. Era tutto vuoto, tutto rimbombava troppo. Dovevo mettere un muro tra me e quel silenzio. Ora sto molto bene, seguo sempre il calcio, con passione. Ma non ho pensato neanche per un secondo di tornare ad allenare. Basta, fine”.

Era il tempo della pandemia, delle regole anti Covid, delle restrizioni e dello stadio vuoto in cui vedere giocare i propri giocatori. Era il tempo della propria voce risonante e limpida. Dieci giorni prima di decidere di rassegnare le dimissioni, in conferenza stampa dopo la partita contro il Benevento, aveva spiegato: “Sono stanco dentro”.

Sampdoria-Fiorentina la svolta e la decisione

Ma a indurlo a scartare quella vita in panca che aveva amato e rispettato, era stato altro. La somma perfetta delle sensazioni che, assieme, fanno il baratro incontrollato di chi si misura con una componente ignota, forse controllata e latente, che prende improvvisamente il sopravvento gettando nell’ignote le sicurezze. Ciò che chiama “vuoto”:

“Durante un Sampdoria-Fiorentina, a febbraio del 2021, stavamo dominando la partita poi, verso il settantesimo, ha segnato Quagliarella per loro. In quel momento ho provato una spaventosa sensazione di vuoto. Mi è mancato il respiro per dieci secondi. Credo di conoscere il sapore dell’adrenalina ma una esperienza così non l’avevo mai provata. Un vuoto nero, un gorgo di nulla. Forse il troppo amore per la Fiorentina, il desiderio di strafare, di portarla fuori dai guai. Ho parlato con le persone che sanno gestire queste situazioni di stress e mi hanno consigliato di staccare un po’. Mi hanno fatto questo esempio: è come un chirurgo che in sala operatoria interviene tutti i giorni ma arriva un familiare e lui si blocca. Il chirurgo non riuscirà più ad operare. Una sensazione così, di troppo affetto, di troppo amore, di troppa responsabilità mi ha tolto il respiro. Era il segnale”.

Era il 2021. Che qualcosa non andasse lo si era compreso quando, al posto di Cesare Prandelli, si era presentato davanti ai giornalisti e ai microfoni Giancarlo Antognoni. Quel malessere fisico accusato dall’allenatore non era che l’espressione del male di Cesare, quell’ombra che ha descritto con delicatezza ma senza negarne l’entità nella lettera pubblicata martedì, per sancire l’addio alla Fiorentina ma non alla sua Firenze.

Prandelli lascia: la tachicardia dopo Fiorentina-Milan

Prandelli ha scelto di ritirarsi nella campagna toscana, con la sua compagna Novella Benini e suo figlio e seguire le attività legate alla loro azienda agricola. Un mestiere che si affida alla lentezza, al rispetto dei tempi della natura e che richiede cura e pazienza, qualità assai distanti dal calcio contemporaneo. Lì si trovava quando fu contattato dalla Fiorentina, nella sua tenuta.

Dopo la sconfitta subita contro il Milan, a quattro mesi e poco più dal rientro in panchina, l’ex ct della Nazionale ha avvertito un peso: da quanto riporta il Corriere e non solo, Prandelli avrebbe accusato un malore, tachicardia per la precisione.

“Nella vita di ciascuno, oltre alle cose belle, si accumulano scorie e veleni che talvolta ti presentano il conto tutto assieme. In questo momento della mia vita mi trovo in un assurdo disagio che non mi permette di essere ciò che sono. Per il troppo amore sono stato cieco davanti ai primi segnali che qualcosa non andava, qualcosa che non era esattamente al suo posto dentro di me”, ha scritto nella lettera di addio.

Dei quattro mesi e mezzo di incarico rimarrà il ricordo di un uomo che ha dimostrato ancora la sua cifra, la sua scelta di rivelarsi umano e fragile senza timore di giudizio e anche comprensivo senza mostrarsi arrendevole. Poi certo ci sono gli obiettivi, le sconfitte e le delusioni: quel calcio amaro che non gli sarà mai gradito, ma che guarderà dalla giusta distanza adesso.

La vita di Prandelli, oltre il calcio

In fondo, Prandelli non si è staccato da Firenze: vive a 15 minuti da Ponte Vecchio, nella campagna toscana, nella terra che ha coltivato e seguito con attenzione fino alla chiamata di Rocco Commisso e che attende il suo ritorno per gli appuntamenti ordinati da un tempo diverso, più certo, più sicuro.

E’ partito da qui, quando gli fu prospettato il rientro in Serie A e sulla panchina della società che più sentiva vicino negli ultimi anni, anche nel difficile addio causato dalla malattia alla moglie. Luoghi e tempi quelli della natura che non contemplano stress, ansie e quell’ombra di cui parla nella sua lettera. E che spiega, sul suo vissuto, in questa intervista-confessione in cui ammette di aver chiesto aiuto per uscire e imparare a gestire queste sensazioni.

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