Raccomandato o piccolo genio alla base dei successi del padre? Da una vita Davide Ancelotti, figlio di Carlo, deve combattere con pregiudizi e veleni ma intanto continua la sua carriera da vincente. Sembrava che dopo l’avventura al Real Madrid fosse arrivata la volta buona per tentare un’esperienza da primo allenatore, senza l’ombra di sir Carletto, ma alla fine ha deciso di seguirlo alla nazionale brasiliana e ora si gode lunghe vacanze. Intervistato da Marca parla di tutto. Dal rimpianto di aver perso Kroos ai momenti belli e brutti fino alle sue ambizioni.
L’addio al Real Madrid
Lasciare le merengues non è stato facile (“in un club come il Madrid dire addio in quel modo è molto difficile. Per me sarà impossibile dimenticare, e penso anche per mio padre. Ho pianto molto, sì. E aiuta, perché io, come lui, siamo due persone che si emozionano molto facilmente. Direi che abbiamo pianto molto. Direi che ho pianto più di lui. E ora la vita continua, il Madrid continuerà a vincere… e anche noi, spero”) ma si guarda avanti: “La mia ambizione è allenare da solo un giorno. È molto chiaro per me perché è il mio obiettivo di carriera. A fine stagione, mio padre mi ha dato l’opportunità di continuare con lui nella nazionale brasiliana, e gli ho chiesto un po’ di tempo per pensarci e parlare con alcuni club. Ho avuto alcune opportunità e alla fine, senza entrare nei dettagli delle trattative, l’opzione migliore per me è stata accettare la sfida di partecipare a un Mondiale, e di farlo con una squadra che rappresenta 200 milioni di persone”
Obiettivo Mondiale col Brasile
Davide riflette: “Mio padre è di Reggiolo, una città di 5.000 abitanti. È impossibile immaginare qualcuno nato lì che alleni la nazionale brasiliana. Quindi, stiamo vivendo un sogno, ma molto reale. E sì, vincere la Coppa del Mondo è possibile, perché è chiaramente l’obiettivo del Brasile. Se vincesse una Coppa del Mondo mio padre sarebbe il miglior allenatore della storia? Per me sì, certo, non ho dubbi. Ma è un dibattito in cui non sono imparziale. Dai, dico che per me è il miglior allenatore della storia, anche se non vincesse il Mondiale”.
Com’è il Davide allenatore
Come sarà Davide come allenatore il giorno in cui non ci sarà più Carlo? “Mio padre mi ha insegnato ad essere flessibile, ad adattarmi, ad avere idee e modi diversi per vincere. Detto questo, ognuno ha le sue preferenze, e io preferisco uno stile di calcio un po’ più verticale, più audace. Ma se dovessi riassumere la mia idea di calcio, direi che la cosa importante è saper fare tante cose ad altissimo livello. Se mi è capitato spesso di essere in disaccordo con tuo padre? Disaccordo al 100%. Voglio dire, probabilmente ci sono state più volte in cui non siamo stati d’accordo. Credo che sia ciò che ci si aspetta da me come assistente e anche ciò di cui lui ha bisogno. Lui ha bisogno di persone che non siano sempre d’accordo.
Poi, sempre con rispetto e tenendo presente che la decisione finale è sempre stata e sarà sempre sua. Quello che ho sempre cercato di fare, insieme ad altri compagni di squadra, a Francesco, a Simón… è concentrarmi su ogni singolo dettaglio nella preparazione di una partita e nella creazione di uno stile di gioco”.
Non ha dubbi Ancelotti jr nello scegliere il momento peggiore al Real (“Penso che il momento peggiore sia stato il Clásico, quando abbiamo perso 0-4 contro il Barcellona, nel primo anno di Xavi al Bernabéu”) poi rivela il sogno, quello di allenare il Real Madrid: “Il sogno esiste, sì. Chi non ha il sogno di allenare il Real Madrid? Se lo chiedi a chiunque abbia allenato e fatto parte del Real Madrid, quel sogno esiste. Quello di Xabi Alonso, probabilmente, era tornare ad allenare il Real Madrid. Come quello di molti altri allenatori. Quindi sì, è sicuramente un sogno. Non credo che un cognome basti. Avere dei sogni è importante, ma bisogna lavorare per raggiungere degli obiettivi. E ora l’obiettivo è fare bene con la nazionale brasiliana e vincere il Mondiale.
C’è stato un momento in cui il giovane Davide ha detto: “Voglio essere come mio padre”: “Fin da giovanissimo, ho avuto l’ambizione e il sogno di diventare un calciatore. E quando la parte razionale di te ti dice che forse non puoi essere il calciatore che sognavi… Ho giocato a calcio, ma mi sono reso conto che pensavo cose che le mie gambe e i miei piedi non potevano realizzare. Così, è stato allora che ho deciso di dedicarmi seriamente all’allenamento. E ho iniziato a studiare, perché da giocatore, a 35 anni non avrei avuto niente…I problemi di chiamarmi Ancelotti? Ci sono abituato. Penso che mi accompagnerà per il resto della vita. Mi ha aiutato a impegnarmi di più e a essere più forte di fronte alle opinioni negative. Non posso farci niente”.