“Sono radiato dal 2011 per lo scandalo scommesse. Dopo sette anni il processo ancora non è nemmeno cominciato. La mia paura è che vada tutto in prescrizione, così non potrei far valere le mie ragioni”. Un paio di mesi fa, in un’intervista alla Gazzetta dello Sport, Beppe Signori si è sfogato così.
La vita dell’ex bomber, per il quale cinquemila tifosi della Lazio scesero in piazza per chiedere che non venisse ceduto al Parma (erano i tempi di Sergio Cragnotti e Calisto Tanzi e il frutto della passione popolare convinse il presidente biancoceleste a trattenere l’atleta), è radicalmente cambiata sette anni fa, con il suo allontanamento dal calcio. A cui tanto ha dato e da cui tanto ha ricevuto. Se ha un rimpianto è quello di non avere accettato di giocare da esterno, posizione nella quale intendeva posizionarlo il commissario tecnico Arrigo Sacchi, la finale dei campionati del mondo del 1994 persa dall’Italia con il Brasile ai calci di rigore.
Oggi vive a Bologna, dove ha giocato dal 1998 al 2004, e gestisce un ristorante: sull’insegna campeggia l’immagine di un calciatore che in sforbiciata colpisce un pallone. Il numero sulle spalle è, ovviamente, il 10.
50 anni compiuti a febbraio, Signori ha alle spalle una carriera fatta di gol a grappoli. Leffe, Piacenza, Trento, ancora Piacenza, prima dell’esplosione al Foggia, nella celebre Zemanlandia del maestro boemo e quindi Lazio, per lui: 107 gol in 152 partite, roba da grandissimi calciatori. E quindi Sampdoria, un anno travagliato soltanto, e poi il Bologna prima di andare a calcare i campi greci (Iraklis Salonicco) e addirittura ungheresi, con addosso la casacca del Sopron. Poi le esperienze da commentatore con la Rai e con Mediaset e quindi il cartellino rosso. Ma oggi Beppe-gol è una persona serena ed è quello che più conta.
SPORTAL.IT