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Maroua Morchid, la sua lotta: gioca col velo dopo il "no" dell'arbitro

La storia di Maroua Morchid calciatrice di origine marocchine a cui l'arbitro ha chiesto di togliere il velo per giocare a calcio

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In tempi di guerra parlare di “battaglie” è fuori luogo ma sicuramente vale la pena dire che Maroua Morchid è riuscita a vincere la sua di battaglia sportiva, sociale e di inclusione. E’ scesa in campo regolarmente con il velo, lei calciatrice della Pro Vercelli femminile che nella partita precedente, al suo ingresso in campo, aveva ricevuto “l’indelicato” invito dell’arbitro a togliere il suo hijab che stava indossando.

La storia di Maroua Morchid: il divieto dell’arbitro

Durante il match di sabato scorso tra la Pro Vercelli e l’Accademia Torino gara valida per il campionato femminile Under 19, all’85’ l’allenatore della squadra vercellese ha mandato in campo Maroua Morchid, calciatrice classe 2005 che vive a Tronzano ma è originaria del Marocco. L’arbitro, coetaneo della ragazza, però le ha chiesto subito, per continuare a giocare, di togliersi il velo che indossava. Al rifiuto della giocatrice ha interrotto momentaneamente la gara.

Di lì a poco viste le proteste, non solo di Maroua ma dei suoi dirigenti, Domenico Lunardi e Laura Sartiarana, delle compagne di squadra ma anche delle stesse avversarie che in segno di solidarietà non hanno preso di buon grado la richiesta, il direttore di gara, ha deciso di fischiare anzitempo la fine della partita.

La reazione di Maroua e della Pro Vercelli

«Sono rimasta sorpresa davanti a quella richiesta – ha detto Maroua a La Stampa -. Nelle altre partite avevo sempre giocato indossando il burkino e nessuno aveva mai riscontrato problemi. È il velo sportivo, che si usa su tutti i campi. Io non avrei mai tolto il velo: piuttosto sarei uscita dal campo. Le mie compagne, ma non solo loro, anche le avversarie, di fronte a quella richiesta, si sono arrabbiate più di me. È stato bello vederle schierarsi dalla mia parte. Per me il velo ha un significato importante: fa parte di me, della mia vita. Mi fa sentire me stessa. Ha un significato profondo, più forte dello sguardo degli altri».

La stessa società Pro Vercelli, che da anni investe nel calcio femminile anche come forma di lotta alle disuguaglianze, nelle ore successive all’accaduto, ha denunciato il tutto sul web con un lungo comunicato: “La società esprime la massima solidarietà e vicinanza a Maroua e ringrazia la Società Accademia Torino per la vicinanza umana e la solidarietà sportiva espresse sin da subito“.

Le reazioni della comunità islamica, il chiarimento dell’AIA

La vicenda divenuta virale sul web e sui social ha sollevato grande indignazione anche fuori dall’ambito sportivo. «È vergognoso che nel nostro Paese avvengano ancora discriminazioni, ciò che è successo a Maroua è inaccettabile e non può passare inosservato»  aveva commentato Nadia Bouzekri, vice presidente dell’Unione delle comunità islamiche.

L’AIA dal canto suo ha provato a spiegare l’operato dell’arbitro: “Non aveva nessuna intenzione di offendere la sensibilità della calciatrice – ha detto il presidente della sezione Aia di Casale Monferrato, Williams Monte – Le ha chiesto di togliere lo scaldacollo, che però era integrato al velo: in un’azione di gioco, se fosse stata strattonata, sarebbe potuta finire strozzata. Non possiamo far passare un ragazzino di 16 anni come razzista”.

Il lieto fine per Maroua Morchid: in campo col velo

A poche ore di distanza dall’accaduto, Maroua è tornata in campo, stavolta in un match del campionato under 17. Ha giocato normalmente con l’hijab e l’arbitro di quella gara stavolta non le negato il diritto a fare quello che più ama, giocare a calcio nel rispetto del suo essere.

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