In un’intervista a ilBianconero, Sandro Mazzola ha raccontato Juventus-Inter 9-1: “Si giocava di sabato, il problema era che io dovevo andare a scuola e avevo tre interrogazioni decisive per non essere bocciato. Quando in settimana dissi mia madre che sabato avrei giocato lei non ne voleva sapere, insistette per dirmi di andare a scuola. Uscita la notizia che Moratti aveva deciso di far giocare noi ragazzi, i miei compagni di squadra fecero di tutto per farmi giocare, così andai a parlare al preside e gli chiesi un permesso, dicendogli che sarebbe potuta essere l’unica partita in Serie A”.
E alla fine?
“Lo convinsi e mi diede l’ok per andare a giocare. Non solo, riuscii a trovare anche un biglietto in tribuna per il professore di matematica che voleva venirmi a vedere. Era emozionatissimo”.
E lei quanto era emozionato?
“Immaginatevi un ragazzino di 18 anni di fronte a Boniperti, Charles, Sivori e gli altri. C’è stato un momento mi sembrava che il cuore neanche battesse dall’emozione”.
Quando?
“Nel momento in cui uscimmo dal tunnel e in campo c’erano già i giocatori della Juve, con lo stadio pieno che incitava i bianconeri. Ricordo che in quel momento mi si avvicinò Boniperti, dicendomi che era tifoso di mio padre e lo andava a vedere agli allenamenti per imparare da lui. Per me quelle frasi sono state un grande orgoglio”.
Cosa vi disse la società dopo la partita?
“Non potevano arrabbiarsi con noi, ci dissero che avevamo giocato bene ed eravamo stati bravi. Dall’altra parte c’erano i campioni della Juve, era logico che perdessimo”.
Come andò la partita?
“I primi minuti della gara loro non avevano voglia di giocare, iniziarono a palleggiare senza affondare il colpo. Così il pubblico iniziò a fischiare, a quel punto i giocatori della Juve accelerarono e non ci fu più partita”.
Ci racconta un aneddoto?
“In squadra avevamo un compagno toscano, si chiamava Giuseppe Morosi e veniva da Agliana, un piccolo paesino toscano in provincia di Pistoia. Era un mediano che di solito marcava sempre il centrocampista avversario più offensivo, quel giorno gli toccò Sivori. Ricordo che quando gli passò vicino a Morosi brillarono gli occhi e scherzando mi disse che dopo quella partita al suo paese l’avrebbero fatto sindaco”.
L’unica rete nerazzurra la segnò lei, su rigore. Il primo gol tra i professionisti.
“Quando segnai quasi non ci credevo. Al momento di andare sul dischetto avevo una paura tremenda, dovevo tirare un rigore a Mattrel, il portiere della Juve. Così presi la rincorsa alla sinistra del pallone, per poi calciare di destro; sento che un giocatore avversario dietro di me indicava al portiere la direzione dove buttarsi, ed era proprio quella nella quale volevo calciare. Così cambiai idea all’ultimo e riuscii a spiazzarlo”.
E’ mai stato vicino alla Juve?
“I bianconeri mi avevano cercato alla fine di quella stagione. Così io andai a casa per dirlo a mia madre, che però fu categorica: ‘Ringrazi e rifiuti – mi disse – il figlio del capitano del Torino non può giocare con quella maglia, tuo padre si rivolterebbe nella tomba”.