Milan, Maldini racconta la sua verità: ecco perché è stato cacciato

L'ex dirigente rossonero si confessa a La Repubblica e sei mesi dopo l'esonero rivela perché fu mandato via e tutti gli scontri con Gerry Cardinale

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Dario Santoro

Giornalista

Scrive, commenta, racconta lo sport in tutte le sfaccettature. Tocca l'apice quando ha modo di concentrarsi sule interviste ai grandi protagonisti

Dove eravamo rimasti? Era il 5 giugno scorso quando Paolo Maldini varcò la soglia dell’ufficio di Gerry Cardinale convinto di dover discutere di mercato, budget e obiettivi per la prossima stagione e ne uscì da ex rossonero. Licenziato assieme a Massara, il ds che – come lui – aveva costruito la squadra dello scudetto. Sei mesi dopo Maldini vuota il sacco e in un’intervista a La Repubblica racconta la sua verità.

Maldini rivela perchè fu cacciato dal Milan

I sei mesi senza parlare gli sono serviti a recuperare serenità e ora l’ex capitano del Milan è pronto a raccontare la sua verità. Maldini riavvolge il nastro e torna a quel 5 giugno: “Cardinale mi disse che io e Massara eravamo licenziati, giustificandolo con i cattivi rapporti con Furlani e aggiungendo una battuta sulla semifinale Champions persa con l’Inter. Con lui in un anno solo una chiacchierata e quattro messaggi”.

Maldini e gli errori sul mercato

Maldini dice che la decisione era stata presa mesi prima e che c’era chi lo sapeva. «Il contratto, 2 anni con opzione di rinnovo, mi era stato fatto il 30 giugno 2022 alle 22: troppo impopolare mandarci via dopo lo scudetto». Smentite le voci che con Massara non condividessero gli obiettivi: «Mai avuto, né voluto, potere di firma: nemmeno per i prestiti. Ogni acquisto era avallato da Ceo e proprietà. I giocatori li abbiamo scelti noi, a volte spariva il budget».

Secondo Maldini, Cardinale ha chiesto alla dirigenza di vincere la Champions League: «Spiegai che serviva un piano triennale. Da ottobre a febbraio l’ho preparato con Massara e con un mio amico consulente: 35 pagine di strategia sostenibile e necessità del salto di qualità, mandate a Gerry, a due suoi collaboratori molto stretti e all’ ad Furlani». Senza ricevere risposta.

Le accuse sono state pesanti sul mercato: «Su 35 acquisti ci contestano De Ketelaere, che aveva 21 anni. Se si scelgono ragazzi di quell’età, la percentuale d’insuccesso è più alta. Vanno aspettati, aiutati, coccolati, ripresi. D’altronde, dopo tre mesi di lavoro, Boban e Massara ed io fummo chiamati a Londra da proprietà e Ceo e praticamente delegittimati: i vari Leao, Bennacer e Theo non piacevano. Ma serviva un percorso. Ricordo sempre da dove siamo partiti».

Maldini non avrebbe ceduto Tonali

Maldini rivela come si sarebbe mosso sull’affare Tonali: «Avremmo fatto il possibile per non lasciarlo andare. Non siamo mai stati totalmente contrari a una cessione importante, ma non c’era necessità. Per Sandro spendemmo un quinto del valore di dominio pubblico e dovemmo discutere animatamente con Ceo e proprietà: non lo voleva neppure l’area scouting».

Poi attacca il presidente Scaroni, che ha detto che dopo il suo addio il gruppo dirigenziale è più unito: «L’ho visto spesso andare via quando gli avversari pareggiavano o passavano in vantaggio, magari solo per non trovare traffico, ma puntualissimo in prima fila per lo scudetto. Ho un concetto diverso di condivisione e di gruppo. Posso dire lo stesso anche rispetto ai due Ceo, Gazidis e Furlani».

Infine, Maldini dice che anche lo stadio è stato motivo di scontro: «Non potevo mettere la faccia su un progetto da 55-60 mila posti, quasi tutti corporate. Lottavo per uno stadio più grande e con parte dei posti popolari. Vista la media di oltre 70 mila a San Siro, avevo ragione». E sull’Arabia dice che le alternative al Milan per lui sono limitate, visto che non vuole andare a lavorare in un’altra società italiana: «A me piace vincere e costruire. L’Arabia potrebbe essere un’idea».

Milan, Maldini racconta la sua verità: ecco perché è stato cacciato Fonte: Ansa

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