La maglia di Lionel Messi sulle sue spalle ha commosso e indignato chi ha osservato l’immagine ripresa e condivisa ovunque. Quel bambino di appena 7 anni, Murtaza Ahmadi, indossava una busta di plastica a strisce blu e bianche con il nome e il numero del campione argentino.
Murtaza non è un bambino come gli altri, perché oggi in Afghanistan amare il calcio, ricevere da Messi due maglie autografate e averlo incontrato di persona significa entrare nel mirino dei talebani.
“Non avevamo il permesso di giocare a calcio con i talebani o di uscire di casa”, racconta Murtaza alla CNN. “Sentivamo il suono di mitragliatrici pesanti, di kalashnikov e di razzi in casa, e abbiamo sentito anche persone che urlavano”.
In particolare, Ahmadi è diventato un bersaglio per la fama raggiunta, dice sua madre Shafiqa.
“Dal giorno in cui Murtaza è diventato famoso, la vita è diventata difficile per la nostra famiglia”, dice Shafiqa. “Non solo i talebani, ma anche altri gruppi hanno iniziato a pensare che Messi avrebbe potuto dargli un sacco di soldi, abbiamo smesso di mandarlo a scuola e siamo stati minacciati in continuazione”.
La decisione di fuggire, per la famiglia di Murtaza, è stata purtroppo ovvia: le ragioni di matrice etnica e la visibilità acquisita, dopo quanto avvenuto, hanno indotto i suoi genitori a una fuga necessaria verso Kabul per evitare ritorsioni e la minaccia del sequestro.
La madre del piccolo tifoso, rimasta sola con lui a Kabul (il padre, infatti, non ha abbandonato il loro paese di origine), ha lanciato un nuovo appello a Messi perché possano lasciare il Paese e iniziare una nuova vita altrove.
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