Continua a emozionare e a indurre a ponderare, riflettere sulla gravità del ricorso all’uso delle armi quanto affermato da Steve Kerr, coach dei Golden State Warriors, nel pre-partita di gara 4 contro i Dallas Mavericks, a poche ore di distanza dalla notizia della sparatoria di Uvalde, in Texas, nel corso della quale 19 bambini e due insegnanti hanno perso la vita nella folle sparatoria innescata da un diciottenne.
Un ragazzo che aveva assassinato, prima di uscire dalla stessa abitazione armato e iniziare una folle corsa in auto, la nonna.
- Il toccante discorso di Kerr sulla strage di Uvalde
- Le critiche alla politica e alla lobby delle armi
- La tragedia personale di Steve Kerr
Il toccante discorso di Kerr sulla strage di Uvalde
In questo discorso, Kerr pur a ridosso di una gara fondamentale che avrebbe qualificato i suoi ragazzi alle Finals, le seste in otto anni sotto la sua gestione, ha incentrato il suo discorso su quanto accaduto ad appena 400 miglia di distanza a Uvalde ed ad esprimere in maniera inequivocabile sui responsabili di questa folle politica sulle armi, imputata dal presidente Biden alla lobby delle aziende produttrici e che comunque, sul versante politico, non ha trovato alcun argine efficace.
“Sono stanco, dobbiamo agire sulle armi. Queste carneficine avvengono soltanto negli Stati Uniti”, ha detto.
Le critiche alla politica e alla lobby delle armi
Kerr non ha mai celato la sua posizione in merito a temi di estrema attualità, impegno civile in uno Stato condizionato da una linea filotrumpiana, di sostegno alla corsa alle armi e anche sopraffatta da indubbi problemi di convivenza esplosi in altrettanti episodi di violenza inaudita.
La sua morale, la sua sensibilità mostrata sono conseguenza della sua drammatica storia personale, quando perse suo padre Malcolm, 52enne all’epoca, in una sparatoria a Beirut, in Libano, dove era nato e dove aveva lavorato come professore in studi mediorientali e arabi all’Università Americana prima di diventarne presidente.
La tragedia personale di Steve Kerr
Due uomini, riconducibili poi a un gruppo di estremisti islamici che immediatamente rivendicò l’attentato, spararono alla nuca Kerr uccidendolo sul colpo proprio nel suo ufficio. Un atragedia che ha segnato la sua esistenza, disegnando i confini entro cui muovere le parole dettate oggi da una coscienza e da un vissuto che non sono comprensibili da quanti hanno patito le conseguienze della violenza, qualunque fosse la presunta matrice.