Dalla Safety Car alla Virtual Safety Car: passaggio consequenziale e per certi versi necessario ai fini della sicurezza. Rendere la Formula 1 una disciplina sempre meno impattante dal punto di vista degli incidenti gravi e garantire ai piloti un ulteriore, valido strumento a tutela della propria salute ha portato, nel corso degli anni, a introdurre da regolamento una serie di accorgimenti sempre più d’avanguardia per incrementare i livelli di sicurezza della disciplina. Ecco come ci si è arrivati e perché.
- Incidenti in Formula 1: il tema della sicurezza
- Il debutto della Safety Car nel 1992
- Virtual Safety Car: quando è stata introdotta e perché
- Che cos’è la Virtual Safety Car?
- Cosa sono le postazioni Marshall Sector
- La Virtual Safety Car: un sistema infallibile?
- Si tratta di una strada percorribile?
- Il futuro della Virtual Safety Car
- Quali soluzioni per il futuro della Formula 1
Incidenti in Formula 1: il tema della sicurezza
“Ci sono solo tre sport: il combattimento dei tori, le gare automobilistiche e l’alpinismo. Il resto sono semplici giochi.” Un’affermazione estrema quanto le attività a cui si riferisce, quella di Ernest Hemingway, ma che di certo avrà fatto silenziosamente annuire i lettori appassionati di Formula 1, uno sport estremo che, quando gira male, ha estreme conseguenze.
L’incidente è da sempre parte integrante di questo sport, secondo alcuni addirittura parte dello spettacolo, ragion per cui il tema della sicurezza ha gradualmente assunto un peso maggiore nelle scelte regolamentari e tecniche: una di queste è proprio l’utilizzo di una Safety Car, una macchina di sicurezza che “rallenta” la pista in condizioni di pericolo.
La prima vettura di sicurezza della storia della F1 affronta le curve del circuito di Mosport Park, in Canada, nel 1973: in seguito a un incidente tra Schechter e Cevert, quest’ultimo ha la peggio e ha bisogno di cure mediche, da qui l’idea di mandare in pista la pace car del campionato Pan-Am per consentire ai medici di soccorrere il povero Cevert.
Il debutto della Safety Car nel 1992
Nel 1992 la Safety Car viene introdotta in pianta stabile in tutte le gare del campionato di F1 e, dopo alcuni anni di alternanza di vetture, si opta per un contratto di sponsorizzazione con Mercedes come unico fornitore (negli ultimi anni si è aggiunta anche l’Aston Martin).
Dal 2000, la Safety Car viene affidata alle abili mani di Bernd Maylander, storico pilota tedesco over 40, che ha l’arduo compito di tenersi alle spalle, con quella che tutto sommato è una vettura stradale, una ventina di giovincelli alla guida di bolidi affamati d’aria e asfalto.
Virtual Safety Car: quando è stata introdotta e perché
Dopo che il tragico buio di Suzuka 2014 si era portato via quella giovane scintilla luminosa chiamata Jules Bianchi, si sentiva il bisogno di un nuovo strumento che garantisse sempre la sicurezza dei piloti, anche nei casi in cui il pericolo in pista non era tale da giustificare un ricompattamento del gruppo tramite una Safety Car.
Il 2015 tiene a battesimo un nuovo sistema di sicurezza studiato per non interrompere per troppo tempo le ostilità in pista in seguito a un incidente di lieve entità o alla presenza di detriti sul tracciato: si tratta di una Safety Car virtuale.
Che cos’è la Virtual Safety Car?
La Virtual Safety Car (VSC) non prevede l’ingresso in pista di alcuna autovettura che faccia da ostacolo, ma richiede ai piloti di comportarsi come se ci fosse: nessun sorpasso consentito e obbligo di rallentare il ritmo di almeno il 35%.
Dopo l’esposizione di doppia bandiera gialla e l’accensione di segnalatori luminosi in pista, a tutte le vetture viene comunicato via radio il regime di Virtual Safety Car.
I piloti sono quindi costretti a rallentare in ogni settore, proprio come se avessero una Safety Car virtuale a dettare il passo, in modo da mantenere sempre positivo il delta (ossia la differenza tra il tempo che la direzione gara considera minimo per percorrere un giro di pista e il tempo che effettivamente un pilota ha impiegato per completare la tornata).
Cosa sono le postazioni Marshall Sector
L’impiego della Virtual Safety Car prevede la presenza, a bordo pista, di 20 postazioni dette marshall sector che consentono alla direzione gara di verificare ogni 50 metri che questo delta resti positivo fino all’interruzione del regime di Virtual Safety Car.
In questo modo, il distacco tra le vetture dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) rimanere costante, in modo da influenzare quanto meno possibile il risultato sportivo dando, allo stesso tempo, la possibilità ai commissari di ripristinare la sicurezza in pista.
La Virtual Safety Car: un sistema infallibile?
Il sistema genera da subito una certa diffidenza tra i piloti, come confermato da Daniel Ricciardo ad Austin 2015: “Con la Virtual Safety Car dovresti conservare il distacco e Rosberg (il pilota che lo inseguiva, ndr) non era esattamente dietro di noi, era qualche secondo alle spalle, così quando l’ho visto vicino sotto Virtual Safety Car ho pensato che sarebbe arretrato nuovamente, invece mi ha passato e sembrava che ci fosse bandiera verde. Non so cosa sia successo, io ho seguito le indicazioni, essenzialmente. Credo che dovremmo parlare della Virtual Safety Car in generale, perché non è chiaro il momento in cui torna a essere corsa vera”.
Il caso Ferrari-Vettel nel 2017
La Virtual Safety Car sembra generare scetticismo ad ogni suo utilizzo, nel 2017 a farne le spese è Sebastian Vettel, al comando del GP di Spagna sulla sua Ferrari con 7 secondi di vantaggio su Lewis Hamilton: contatto tra Vandoorne e Massa, indicazione di Virtual Safety Car.
Complice il non eccellente tempismo del box Ferrari, la Virtual Safety Car evidenzia uno squilibrio strategico: se una sosta ai box a Barcellona dura, normalmente, circa 20 secondi, in regime di VSC il tempo scende intorno ai 12-13 secondi. Grazie a questo stratagemma, Lewis Hamilton azzera il distacco dal suo rivale e, avendo montato gomme più morbide nel precedente pit-stop, riesce infine a sorpassarlo e a vincere il Gran Premio di Spagna 2017.
Il caso Ferrari-Sainz nel 2022
Un ulteriore esempio più recente è quello di Jeddah 2022: all’attivazione della Virtual Safety Car, Carlos Sainz (Ferrari) è in terza posizione e insegue Max Verstappen (2°, Red Bull) a 6,6 secondi di distacco. Alla bandiera verde che sancisce la fine della Virtual Safety Car, il distacco del ferrarista spagnolo è salito a 10,6 secondi: anche in questo caso, la direzione gara non ha preso alcun provvedimento a riguardo.
A ben pensarci, non di rado la fortuna gioca un ruolo determinante, in questo sport, quindi non sarebbe certo cosa strana che un pilota possa beneficiare di una Virtual Safety Car ai danni di un altro, senza contare poi il fatto che l’imprevedibilità aggiunge inevitabilmente appeal a un prodotto che, è bene ricordarlo, è sul mercato globale.
Si tratta di una strada percorribile?
Tuttavia, parliamo pur sempre di sport: ebbene, quanto può essere sportivo applicare una regola in maniera sommaria e saltuaria, seppur in nome dello spettacolo?
Oppure, scegliendo un differente punto di vista: perché un pilota che, per sua natura agonistica, tende a rallentare quanto meno possibile anche in seguito a una bandiera gialla, dovrebbe invece alzare il piede quando le bandiere sono accompagnate da una tabella luminosa che recita “Virtual Safety Car”? Lasciare troppo spazio al libero arbitrio del pilota, in un’equazione che coinvolge la sicurezza sua e degli altri, non sembra la strada più saggia.
Il futuro della Virtual Safety Car
Le difficoltà che i commissari di gara hanno riscontrato nel verificare il rispetto dei distacchi, unite al vantaggio che la Virtual Safety Car concede ai piloti che si trovano nei pressi dell’ingresso dei box al momento della sua attivazione, hanno generato una discussione interna sull’effettiva utilità di questo nuovo strumento di sicurezza.
È probabile, infatti, un passo indietro, da parte della direzione gara, e un uso più frequente (anche se diversamente regolamentato) della Safety Car tradizionale, che crea sì un disequilibrio in pista ma, ricompattando il gruppo, genera un fattore spettacolo notevolmente maggiore.
È ovvio che la FIA vorrebbe evitare un nuovo “caso Abu Dhabi”, con riferimento alla gara tenutasi negli Emirati Arabi Uniti nel 2021, che ha visto uno dei più grandi piloti in attività, Max Verstappen, vincere un mondiale all’ultima curva anche grazie a una Safety Car gestita in maniera quantomeno discutibile da Michael Masi, ormai ex direttore di gara.
Molteplici sono state le discussioni relative al comportamento dei piloti doppiati al termine del regime di Safety Car, problema che, invece, la Virtual Safety Car non avrebbe avuto.
Quali soluzioni per il futuro della Formula 1
L’intenzione, a questo punto, sarebbe quella di svincolare la Safety Car dallo sdoppiaggio dei piloti doppiati per renderla più snella e simile alla Virtual Safety Car, ma senza la roulette dei distacchi e dei pit-stop.
Viene spontaneo chiedersi se la Virtual Safety Car, più che rimossa, possa essere “riformata” e adeguata alle esigenze sportive. Ad esempio, se una F1 deve obbligatoriamente inserire un limitatore di velocità in pit-lane, non si potrebbe utilizzare un sistema analogo per regolare in maniera uniforme la velocità di tutte le vetture in pista, durante un regime di Virtual Safety Car?