Si può rinascere a 30 anni come atleti? È quello che sta provando a fare Alessia Trost, azzurra del salto in alto. Non gareggia da quasi due anni, l’ultima grande apparizione è stata alle Olimpiadi di Tokyo 2020 (disputate nel 2021), dopo il sesto posto agli Europei indoor. In carriera vanta un bronzo ai Mondiali indoor del 2018 e due ori ai Mondiali giovanili.
I suoi anni difficili: “A ottobre del 2019 ho deciso di spostarmi da Ancona, dove ero stata nei tre anni precedenti. Avevo deciso di trasferirmi a Sesto San Giovanni, ma nel febbraio 2020 c’è stata la pandemia e abbiamo provato a portare avanti la preparazione alle Olimpiadi, che sono poi state rimandate. Nel 2021 ho deciso di spostarmi a Como, dove viveva il mio ragazzo: andavo a Sesto San Giovanni per fare le tecniche, per il resto mi allenavo a Como. Ho concluso il 2021 con la qualificazione alle Olimpiadi che mi ha dato soddisfazione per come era arrivata, perché avevo sbagliato nell’ultimo periodo, ma mi rendevo conto che non c’erano le condizioni per proseguire. Così ho deciso di cambiare contesto, mi sono trasferita a Berlino dove ho trovato un allenatore tedesco che è specialista del salto in alto: mi sono trovata bene, ma non ero nelle condizioni fisiche di supportare il lavoro che stavamo portando avanti“.
E ancora: “Nel 2022 non ho gareggiato perché non ero nelle condizioni di farlo: non c’è stato un vero e proprio infortunio, ma una serie di piccole gocce di dolore che mi hanno portato a non gareggiare e nemmeno ad allenarmi. Ho iniziato ad avere problemi di tipo articolare e di tipo tendineo, poi di tipo muscolare e nel frattempo ne soffrivo anche dal punto di vista mentale e motivazionale. Mi sono trovata a giugno del 2022 a concludere un allenamento con le mani e la testa che mi pulsavano probabilmente per una risposta neurologica troppo intensa a degli stimoli. Abbiamo deciso di sospendere la stagione, il dolore mi stava portando fuori binario. Volevo smettere di fare atletica”.
Da qui inizia però la rinascita: “Quest’estate volevo smettere, l’ho detto a tutti. Per due mesi ho smesso, ma per fortuna le Fiamme Gialle mi hanno dato modo di capire cosa volevo davvero fare. Ho pensato che le Olimpiadi non erano così lontane, a settembre ho ricominciato che avevo la forma di una mamma e non di un’atleta. Ho fatto la prima parte di riabilitazione a Roma con il supporto della Federazione, poi volevo tornare a Berlino, anche se sapevo che sarebbe stato difficile. Poi sono venuta in caserma alle Fiamme Gialle per fare la seconda parte di riatletizzazione per poter ricominciare veramente ad allenarmi e i tre allenatori che allenano qui i salti mi hanno proposto di rimanere e di portare avanti un progetto fino alle Olimpiadi. Qui ci sono le condizioni ideali per allenarsi, sono in famiglia con le Fiamme Gialle, c’è il supporto fisioterapico di cui ho bisogno. Mi sono trasferita in caserma, vivo qui, mi alleno e le cose stanno andando piuttosto bene”
C’è ottimismo: “Adesso siamo a un buon punto. La prima parte di preparazione è stata dedicata alla ricostruzione di un fisico di atleta che mi avrebbe permesso di riavvicinarmi al lavoro tecnico, che ho iniziato da qualche settimana. C’è stata grande attenzione sulle mie caratteristiche fisiche, ho riscoperto tanti stimoli che non sentivo da tanto tempo. Abbiamo iniziato a saltare con la rincorsa completa, tra fine aprile e inizio maggio probabilmente inizierò a fare qualche gara/allenamento per capire cosa succederà quando si alzano gli stimoli. L’obiettivo è di fare punti per il ranking e di qualificarsi per i Mondiali”.
Si parla anche del doping nell’atletica con l’atleta friulana: “Veniamo da anni in cui nel salto in alto si sono ottenuti risultati ottimi accostando all’allenamento metodi non propriamente leciti. Ha creato un immaginario per cui fare due metri (tra le donne) e 2.35 (al maschile) era semplice perché ce n’erano tanti. Io ho iniziato a vedere il salto in alto in tv e nelle finali c’erano costantemente tre russi, due ucraini, tre bielorussi che poi sono stati trovati positivi uno alla volta e questo ha fatto sì che si alzasse l’asticella immaginaria dei risultati positivi. Tamberi, Barshim e altri atleti ci mostrano che si può solo con buoni allenamenti e capacità alla base ottenere dei risultati. Non voglio banalizzare e dire che solo il doping ha fatto la disciplina, ma sicuramente ha aiutato ad alzare l’asticella. Questo ci pone nelle condizioni di ammirare gli atleti con buone caratteristiche che sono normali, come noi. Io mi sono allenata con Tamberi, che ha buonissime caratteristiche e c’è dietro un approccio, tantissima motivazione: questo fa più di metodi non leciti“.