Sospensione a tempo indeterminato, ma dal sapore di una fine carriera che, se non proprio degna di tal nome, comunque ci va tanto, ma tanto vicino. Quella di Draymond Green è una parabola destinata a esaurirsi in fretta: la terza espulsione rimediata nei primi due mesi scarsi di regular season ha convinto l’NBA a prendere provvedimenti, col giocatore dei Golden State Warriors che dovrà starsene fuori dal parquet per diverse gare. Quante, dipenderà dal diretto interessato: Green osserverà ora un percorso riabilitativo, concordato con la franchigia e il board della lega, allo scopo di limitare gli episodi antisportivi che ne hanno caratterizzato l’ultima parte della carriera.
- Cosa succede ora: una "terapia" per calmare gli animi
- Quanto perderà Green per ogni partita saltata
- Warriors, dinastia verso il tramonto? I numeri dicono di si
- Antetokounmpo, career high e zuffa... per un pallone!
Cosa succede ora: una “terapia” per calmare gli animi
La notizia era nell’aria da un po’ di tempo, considerati i precedenti stagionali dell’Orso Ballerino. Che contro i Suns ha collezionato la terza espulsione, tale da convincere tutte le parti in causa a prendere provvedimenti. Non c’è stata alcuna opposizione da parte dei Warriors, né tantomeno dell’associazione dei giocatori, un sindacato sempre molto potente nei piani alti NBA.
Green avrà un colloquio con il GM di Golden State, Mike Dunleavy jr., alla presenza dell’agente Rich Paul (lo stesso di LeBron James, per trovare un’intesa su quello che sarà il percorso da seguire e soprattutto per capire quali saranno le condizioni che la lega porrà per favorirne il rientro. Chiaro però che la situazione si presenta già oggi in tutta in salita per il 33 dei Warriors, da anni finito nel mirino di critica e tifosi per qualche comportamento considerato un po’ troppo al di sopra delle righe.
Quanto perderà Green per ogni partita saltata
Di precedenti nel corso della carriera del giocatore se ne hanno un’infinità: dal calcio che gli costò la squalifica in gara 5 delle Finals 2016 contro i Cavs (momento chiave per far girare quella serie a favore di Cleveland) al duro confronto con Durant che portò all’addio di quest’ultimo da Golden State, dal pugno dato in facci a Poole in allenamento (costretto a sua volta a fare le valigie) alla mossa di wrestling su Gobert nel match contro Minnesota dello scorso novembre, Green ormai fa più notizia per i suoi eccessi che non per le statistiche che manda a referto. Tanto che i Warriors si interrogano se ha davvero senso continuare a tenerlo a roster, o se non sia il caso di provare a imbastire una trade per guadagnarci qualcosa.
Il giocatore intanto perderà oltre 150mila dollari per ogni partita saltata, e se la sospensione dovesse superare le 20 partite stagionali la quota a singola gara salirà sopra i 200mila dollari. Cifre che possono apparire altisonanti, ma si parla pur sempre di un giocatore che viaggia oltre i 25 milioni di dollari a stagione, con un contatto in scadenza nel 2026 (più un ulteriore anno di opzione a favore del giocatore). Anche se oggi risulta difficile pensare che resterà così a lungo nella baia.
Warriors, dinastia verso il tramonto? I numeri dicono di si
Invero è tutta Golden State che sta attraversando una profonda fase di transizione. La formula magica che ha prodotto 4 anelli in 7 stagioni tra il 2015 e il 2022 forse è andata scemando, e i numeri stagionali raccontano di una crisi d’identità piuttosto evidente. Finisse oggi la regular season, addirittura la formazione di Steve Kerr non potrebbe prendere parte nemmeno al play-in, una sorta di esame di riparazione per chi vuol entrare nei play-off.
Situazione surreale pensando alla qualità del roster: oltre a Steph Curry, prossimo alle 36 primavere, ci sono Chris Paul (anni 39 da compiere a maggio), Klay Thompson (va per i 34), Andrew Wiggins e altri ancora, che sulla carta dovrebbero garantire comunque un range elevato. Non sta succedendo niente di questo, e la sospensione di Green, leader emotivo e carismatico dello spogliatoio, potrebbe ampliare ulteriormente il gap con chi sta davanti.
Le difficoltà di Paul e Thompson sono sotto gli occhi di tutti e il solo Curry non basta per coprire le lacune. In tanti sono pronti a scommettere che la dinastia è ormai agli sgoccioli, e l’eventuale cessione di Green avrebbe un valore enorme al riguardo, anche e soprattutto a livello simbolico.
Antetokounmpo, career high e zuffa… per un pallone!
La notte NBA ha raccontato anche un altro fatto piuttosto concitato: protagonista Giannis Antetokounmpo e lo spogliatoio degli Indiana Pacers, reo di non voler riconsegnare al totem dei Bucks il pallone della partita che Milwaukee aveva appena vinto 140-126. Perché Giannis voleva quel pallone? Perché la sua è stata una serata di debordante superiorità tecnica e cestistica, con 64 punti realizzati (career high: 24 solo ai liberi) e la voglia di regalarsi un cimelio a futura memoria, individuato appunto nel pallone della partita.
Stesso proposito cullato però dai compagni di squadra di Oscar Tshiebwe, giocatore dei Pacers che nella stessa serata ha segnato i suoi primi punti in NBA. Risultato? Indiana dopo la sirena ha preso la palla per consegnarla negli spogliatoi al giocatore, ma Giannis se n’è accorto ed è andato a riprendersela, scatenando una zuffa in piena regola. Alla fine Indiana ha “rilasciato” una palla che, a detta di Antetokounmpo, non era quella ufficiale della partita (ce ne sono due a disposizione degli arbitri). Bel modo di far passare in secondo piano una delle migliori prestazioni del decennio.