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Button: “La F1 è un gioco mentale”

Il campione del mondo 2009 ha sottolineato gli aspetti psicologici che possono coinvolgere un pilota

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Button: “La F1 è un gioco mentale” Fonte: Getty images

Secondo Jenson Button, campione del mondo 2009, la Formula 1 può davvero influire a livello psicologico su un partecipante. Un esempio molto chiaro è rappresentato da Pierre Gasly, attuale pilota dell’Alpha Tauri. Nel 2019 infatti, il pilota francese fu protagonista di un aprima parte di stagione sottotono al volante della Red Bull, venendo quindi retrocesso a campionato in corso proprio nella scuderia di Faenza.

La delusione di non aver retto il confronto diretto con Max Verstappen era tanta, ma il transalpino è comunque riuscito a riscattarsi gradualmente, ottenendo il primo podio in carriera nella penultima gara di due anni fa in Brasile (2°), per poi vincere da protagonista a Monza la scorsa stagione. “La Formula 1 è un gioco mentale – ha dichiarato l’ex prima guida della Brawn al podcast High Performance – più o meno tutti i piloti in griglia sono talentuosi, ma solo se hanno la testa al posto giusto. Gasly è stato promosso in Red Bull, lì dove è stato annichilito. A quel punto è tornato in AlphaTauri, e guardatelo adesso. Dimostra di essere di gran lunga superiore ad altri concorrenti semplicemente perché si trova psicologicamente a posto. Le persone accanto a lui lo aiutano a raggiungere questi risultati, e lo mettono nelle condizioni di sentirsi a proprio agio”.

Un’esperienza, quella del transalpino, in cui si riconosce lo stesso britannico, protagonista di due annate non semplici vissute tra il 2001 ed il 2002: “Stavo male dopo aver trascorso un weekend negativo – ha commentato l’inglese, in quel periodo al volante della Benetton successivamente divenuta Renault – non volevo analizzare i motivi per i quali le cose non erano andate bene. Tenevo tutto dentro di me per giorni, ed è stato un grosso ostacolo all’inizio della mia carriera. Avevo un team principal come Flavio Briatore che non accettava errori, e non ti aiutava in alcun modo a risolvere i problemi. Dopo una brutta gara cercavo di rifarmi in vista della successiva, ma le cose andavano sempre peggio. Ho dovuto lavorare molto per uscirne”.

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