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Caso Pantani, l’inchiesta di Trento e la reazione di mamma Tonina. Al Tour Pogacar stacca il Pirata di 4'

Arriva la reazione della famiglia Pantani dopo l'inchiesta della Procura di Trento sui fatti di Madonna di Campiglio. Al Tour de France Pogacar fa registrare tempi migliori del miglior Pantani

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Auden Bavaro

Auden Bavaro

Giornalista

Lo sporco lavoro del coordinamento: qualcuno lo deve pur fare. Eppure, quando ha modo di pigiare le dita sulla tastiera, restituisce storie e racconti di sport che valgono il biglietto

Mentre il Tour 2024 consacra Pogacar a Plateau de Beille, dopo l’ennesimo capolavoro in salita che gli consegna ormai definitivamente la maglia Gialla; mentre Tadej – a modo suo – celebra Marco Pantani (che correva quando lo sloveno era ai primi vagiti) percorrendo quella salita con 4’ in meno rispetto ai tempi migliori fatti registrare dal Pirata, arriva la prima reazione di mamma Tonina al nuovo capitolo di indagine aperto su una delle vicende che hanno riguardato il figlio. Giù le mani da Marco Pantani, viene da dire.

Voglia di verità sui fatti di Madonna di Campiglio (e Rimini)

Lo si lasci in pace: si rispetti il ricordo di chi, il Pirata, non l’ha lasciato solo (mai) in alcuna stanza d’hotel. Che si chiamasse Touring o Le Rose, quell’hotel.

Si stia lontano da Pantani, a meno che la voglia di dare risposte vere ai fatti che meritano di essere chiariti non sia autentica. In un senso o nell’altro. 25 anni di ipotesi e ricostruzioni, con la sensazione che fino in fondo non ci si è andati mai, non fanno che acuire dolori e rimpianti.

L’inchiesta della Procura di Trento sul caso Pantani

La procura di Trento apre una nuova inchiesta, l’ipotesi è associazione di stampo mafioso finalizzata alle scommesse. Ci potrebbe essere la Camorra dietro la fine ciclistica del Pirata. Si torna ai giorni in cui uno dei più grandi eroi dello sport nazionalpopolare s’è visto crollare addosso di tutto. Il 5 giugno 1999 lo si ricorda per almeno due motivi rilevanti:

  • il primo è che la mattina presto, a Giro d’Italia ipotecato e agli sgoccioli, a Pantani viene effettuato un controllo di routine. Ematocrito vicino al 52%, da regolamento (il limite consentito era 50%) il Pirata è fuori dalla corsa per preservarne la salute.
  • Il secondo è che, qualche ora dopo, Marco ripeté il medesimo esame presso l’ospedale di Imola: ematocrito al 48%, con valori molto simili a quelli del test eseguito autonomamente la sera prima.

La reazione della famiglia Pantani all’inchiesta di Trento

Mamma Tonina pretende da sempre almeno un paio di verità: quella sui fatti di Madonna di Campiglio e l’altra, sulla morte di Marco. Non appena saputo del nuovo procedimento, da Cesenatico ha apprezzato ma – riferisce il legale della famiglia, Fiorenzo Alessi – è una felicità che cozza con la paura dell’ennesima illusione.

Il problema rimane sempre e solo uno, il modo in cui si conclude il procedimento.

Prosegue il legale:

Significa che la Procura ha tenuto conto di tutto il materiale che abbiamo messo a disposizione relativamente ai fatti di Madonna di Campiglio, partendo dalle contraddittorietà evidenziate dalla Commissione parlamentare antimafia. Non abbiamo lasciato perdere quella vicenda. Ricordiamo che Pantani fu sospeso, ma non è mai risultato positivo a nessun controllo antidoping. Ci sono incongruenze che portano a ritenere sostenibile l’ipotesi di una deplasmazione.

Mamma Tonina e quelli che non hanno abbandonato Pantani

Non lo ha mai lasciato solo, nemmeno quando l’opinione pubblica s’è accanita. Soprattutto lei, mamma Tonina, ha sempre avanzato perplessità sui due avvenimenti più dolorosi che hanno riguardato suo figlio, Marco Pantani: il caso dell’ematocrito oltre il valore consentito che – a Madonna di Campiglio – strappò di dosso il Rosa, il Giro, forse la carriera a Pantadattilo (lo chiamava così Gianni Mura: uno che Pantani lo ha sempre avuto nel cuore, anche quando non poteva non valutare oggettivamente le storture cui la vita privata di Pantani stava purtroppo abituando); la strana morte di Rimini, in quell’hotel Le Rose quando era già rintoccato san Valentino.

Era già un altro, il Pirata (se l’è scelto lui il soprannome), agli inizi del 2004. Le droghe e le relazioni discutibili, soprattutto quelle: sono bastate a fare di tutta l’erba un fascio, a mettere insieme situazioni tra loro diverse e non coincidenti. Semmai – questi – figli di quell’iniziale, irreversibile caduta. Caduta e non discesa. Era abituato a entrambe, Pantani: la sfortuna degli incidenti ma anche la sfrontatezza degli assalti a tutta velocità quando la strada scendeva di dislivello. A Madonna di Campiglio qualcosa s’è incrinato per sempre.

Gianni Minà e Marco Pantani

Pantani cercò, come sempre, di aggrapparsi a un carattere di ferro ma probabilmente non gli bastò per vincere lo sbigottimento d’essere stato lasciato solo. Chi non ha mollato Pantani è Gianni Minà: altro raggio di luce in un buio che è stata parte dell’informazione che conta. Scrisse a Pantani subito dopo i fatti di Madonna di Campiglio per dirgli, nonostante tutto: “Resisti Pirata”. Fece invece scalpore il modo in cui il direttore della Gazzetta, Candido Cannavò, legatissimo a Pantani, lo scaricò in un quarto d’ora. Gli chiedeva una confessione che da Marco non è mai arrivata.

Una imperdibile intervista concessa a Minà dal Pirata, qualche tempo dopo, contiene le verità di Marco: Pantani che si mostra nella sua innocenza, che non sa spiegarsi, che non lancia accuse ma mette in discussione il metodo, che non può scagionarsi se non ricorrendo a qualche elemento – le analisi fatte da sé a riprova del fatto che i valori della mattina fossero nettamente differenti – che non fu sufficiente.

Pantani e due generazioni di tifosi

Per molti – i tanti appassionati in primis: almeno due generazioni cresciute con il poster di Pantani sulla parete, le imprese di Marco indelebili nella memoria e i pellegrinaggi successivi nei luoghi di Marco – è finito quel giorno il ciclismo stesso. Hanno cancellato idealmente i tornanti, sbiadito le salite, messo una croce su Madonna di Campiglio.

Ciò che ne è seguito è un tracollo: quello di Marco, soprattutto, che a riprendersi davvero non c’è più riuscito sebbene avesse provato a riporre il suo riscatto ancora nei pedali. Le porte in faccia della direzione del Tour, che non lo volle più in gara, e qualche sporadico tentativo di mettersi alla prova dopo mesi. Pantani però non c’era più. Tra lui e il resto dei professionisti s’era creato un gap di risultati che il Pirata non riuscì a colmare. Si parlò ancora di lui solo per la vita privata.

Philippe Brunel e la morte di Pantani

Uno di quelli che non l’ha mollato – usava carta e penna, ora fa lo stesso mestiere pigiando i tasti di un pc – è Philippe Brunel: giornalista francese classe 1956, ha provato a raccontare e ricostruire gli ultimi giorni di Pantani scavando nelle versioni ufficiali che hanno fatto seguito al decesso del Pirata. Scrive così:

Marco Pantani non ha scelto la sua morte. D’accordo sulla solitudine. La cocaina. I barbiturici. I giri notturni e le puttane. D’accordo sulla vita dissoluta vissuta come distrazione dall’esistenza monacale del campione. D’accordo su quest’uomo ferito. Piegato. Disonorato. Assetato di infamia che cerca la vergogna e finisce per trovala. D’accordo su tutto. Ma non su questa morte.

Mamma Tonina e la verità su Marco Pantani

E mamma Tonina: un baluardo. Un martello. Indomita: le restava e le resta uno scopo nella vita. Cercare e dimostrare quella verità pluricellulare che possa smontare diverse tesi che riguardano i momenti più drammatici della vita professionale e personale di Marco. Non ha mai parlato di suo figlio in termini enfatici: ne ha sempre svelato i risvolti umani, tanto spazio alle virtù e altrettanto ai vizi. Marco per com’era veramente.

Non si è mai arresa, mamma Tonina, di fronte alla frammentarietà di certe tesi che hanno scritto la storia del decesso del Pirata dopo e che, prima, ne avevano segnato la fine ciclistica. E se i fatti di Madonna di Campiglio hanno riguardato marginalmente le sue azioni, quelli di Rimini restano invece il fulcro di ogni sua battaglia.

Dimostrare che Marco non si sia ucciso o, quantomeno, appurare che quanto ricostruito sia parte della verità. E, perché no, capire definitivamente se tra Madonna di Campiglio e Rimini vi sia un filo conduttore che parte dal Trentino e si snoda fino alla Romagna in un lasso temporale che prende il là dal 1999 e si dilata fino al 2004.

Tadej Pogacar, il nuovo Pirata

Intanto le due ruote continuano a girare. E c’è una conduzione naturale che porta da Pantani a Tadej Pogacar. Non è soltanto il pensiero, la quasi certezza, che Marco, questo giovane fenomeno, l’avrebbe guardato con attenzione. Non è, ancora, solo perché la doppietta Giro-Tour torna a essere d’attualità proprio grazie allo sloveno.

C’è un ulteriore tassello: è venuto fuori dopo la tappa del Tour di domenica 14 luglio. La Loudenvielle-Plateau de Beille ha consacrato Pogacar: strappato 1’08” a Vingegaard e portato a oltre 3′ il distacco in classifica, è stato possibile raffrontare i tempi impiegati da Tadej per percorrere lo stesso tratto che percorse il Pirata nel 1998. Il risultato parla chiaro: a Pogacar sono bastati 4′ in meno. Una enormità che la maglia gialla ha commentato così:

Prendo atto ma io non so come corressero trent’anni fa.

Avesse partecipato anche Pantani, ieri avrebbe chiuso in quarta posizione. Che il ciclismo abbia trovato il nuovo Pirata, va da sè. E se azzardarsi in un confronto tanto improbabile tra i due è solo un esercizio di stile, non lo è prendere atto del fatto che tra quell’epoca e questa, il ciclismo ha cambiato pelle. Per tecnologia e strumentazione, sicuramente. Per i dettagli, i metodi di allenamento, i limiti superati che danno vita ad altri limiti da superare. Resta intatta la voglia di lasciarsi trascinare da chi rende manifesto il cuore e non si risparmia. Dagli sportivi che rappresentano qualcosa anche per la vita sociale di un Paese. Da coloro che vivono una vita personale e professionale simbiotica. Da quelli – più unici che rari – come Pantani e come Pogacar.

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