Ancora oggi lo puoi trovare in tribuna a vedere il suo vecchio Verona, spesso accompagnato da Pierino Fanna – uno degli alfieri di quello storico e irripetibile scudetto dell’Hellas. Osvaldo Bagnoli ha superato da un pezzo gli 80 anni, il calcio lo segue sempre meno, ha problemi a un ginocchio dove gli hanno messo una protesi, ma il gialloblù ce l’ha sempre nel cuore. Inizialmente era il “mago della Bovisa”, ma Gianni Brera lo rbattezzò lo “Schopenauer della Bovisa, costringendolo a schermirsi (“Ringraziai Gianni Brera di quel soprannome, ma gli dissi anche che non pensavo di essere all’altezza del grande filosofo”. La Bovisa è un quartiere proletario di Milano, dove il piccolo Osvaldo giocava a calcio con gli amici a piedi nudi nel cortile di casa (“Mia madre gli scarpini me li concedeva una volta alla settimana: costano cari, Osvaldo. Perciò, tienili da conto”) e sui prati. Figlio di operai, Osvaldo Bagnoli venne notato nell’Ausonia dal talent scout Malatesta, che lo portò al Milan. Era una mezzala di buona tecnica e dal tiro schioccante, ma il Milan dei Liedholm, Nordahl e Schiaffino non poteva riservargli che uno spazio ridotto, sufficiente tuttavia per la firma sotto lo scudetto del 1956-57.
DOPO ORRICO – Da allenatore dopo il trionfo col Verona e dopo aver fatto benissimo al Genoa, arrivò la grande occasione con l’Inter. Aveva il compito di ricostruire sulle macerie lasciate dalla rivoluzione fallita di Orrico. Aveva quattro stranieri (Shalimov, Sammer, Pancev, Sosa), mentre il regolamento ne consentiva solo tre. Quattro primedonne ma poco disposte al sacrificio. Pancev dopo la prima esclusione non si riprese più, Sammer a fine anno se ne tornò in Germania. Bagnoli arrivò secondo ma l’anno dopo le basi appena gettate già saltarono in aria per il blitz di metà febbraio, con cui Pellegrini era riuscito a ingaggiare a suon di miliardi Bergkamp assieme al regista Jonk: il primo non si inserì mai, il secondo («il Gionc», lo chiamava) non era il giocatore che serviva davvero e a febbraio, con la squadra al sesto posto, venne cacciato da Pellegrini. Quella porta in faccia gli suonò come uno schiaffo insopportabile. «Via, si dimetta» gli aveva chiesto il presidente. «No, si vergogni» aveva risposto lui. “L’Inter si salvò all’ultima giornata: vuol dire che tanto scarso non ero”.
LA PENSIONE – E ricordando quel periodo aggiunge:«L’Inter mi ha mandato in pensione in anticipo, ma non voglio darle troppe colpe. Ero ben predisposto. I primi mesi da esonerato mi dimostrarono che stavo bene anche senza il calcio attivo: stare in campo mi piaceva, ma non sopportavo più il contorno. Io sono un uomo fortunato, perché ho giocato a pallone e ho potuto mettere da parte qualcosina. Se io oggi sono un pensionato sereno, lo devo al calcio. La mia vita è stata molto impegnata e, se tornassi indietro, forse cercherei di trovare qualche spiraglio per il tempo libero. Oggi che di tempo ne ho, capisco quanto è importante. Ma non parlatemi di sacrifici, per favore. I sacrifici, quelli veri, li fanno gli operai». Oggi Bagnoli gira a piedi per Verona ma la sua vita ovviamente è cambiata: “Non seguo più il calcio come facevo quando ero allenatore: una volta conoscevo a memoria tutti i giocatori avversari e studiavo gli altri allenatori per imparare qualcosa di nuovo da chi era più bravo di me, ma ora ho smesso. Adesso vado allo stadio, ma mi accontento di guardare la partita come un “normale” spettatore, senza giudicare se la squadra gioca bene o male”.