Ad essere ricordato come Pietro Fanna si infastidisce (disse alla Gazzetta “All’anagrafe mi chiamo Piero, anzi meglio: Pierino. Non capisco perché Wikipedia si riferisca a me come ‘Pietro’. Risalirà ancora ai tempi in cui giocavo con Petruzzo Anastasi o Pietro Paolo Virdis…”) ma di sicuro l’importante è che venga ricordato. Del resto uno che ha vinto cinque scudetti con tre maglie diverse un’impronta l’ha lasciata eccome. Ala funambolica in grado di giocare sia a destra che a sinistra, si è formato all’Atalanta ma presto ha avuto l’opportunità del grande salto. Nel 1978 passa alla Juventus e subito vince uno strano record, come raccontò al Gazzettino: «Allora andarono in 10 della Juve ai Mondiali in Argentina. Mancai giusto io e per poco. In quelle stagioni quando non eri titolare faticavi a trovare spazio stabilmente anche in azzurro. Riconquistai il ct Enzo Bearzot a Verona». In bianconero alti e bassi, la Juve vinceva ma lui non era titolare fisso e veniva cambiato di ruolo in continuazione. «Con Giovanni Trapattoni, non giocai praticamente mai nel mio ruolo. Inizialmente c’era Franco Causio, poi Marocchino, feci anche il centravanti. Ebbi soddisfazioni, senza tuttavia completarmi».
LA SVOLTA – Con la Juve vince tre scudetti poi va a Verona e quello che sembrava un passo indietro finisce per rivelarsi la sua fortuna. Vince lo storico titolo con l’Hellas, torna in nazionale e piace di nuovo alle big. Lo vuole l’Inter, lui è indeciso ma alla fine accetta come ricordò alla Gazzetta: “Il mio addio, comunque, fu molto difficile e meditato. Da una parte avevo l’Inter, la squadra per cui facevo il tifo da bambino, dall’altra la possibilità di giocare la Coppa dei Campioni col mio Verona; da una parte sapevo cosa lasciavo, dall’altro ero ignaro di cosa avrei trovato. Scelsi i nerazzurri e (in parte) sbagliai. Un po’ perché non potei più esprimermi ai miei livelli, un po’ perché in quell’Inter non c’era traccia dello spirito di gruppo veronese, ma solo dei campioni più affermati.» E dall’87 anche quel Trap con cui non ci fu mai amore: «Il mio col Trap fu un rapporto di odio/rispetto reciproco. Io gli ho sempre dato tutto me stesso come giocatore, ma lui aveva la sua mentalità. Il suo ‘vestito giusto’ per ogni occasione. Dalla Juve non potevo muovermi per ragioni contrattuali ma, quando Trapattoni firmò per l’Inter, io diedi subito alla società milanese la mia disponibilità a trasferirmi altrove. Il Trap si oppose, mi disse che avrei giocato a lungo con lui. Solo che quando eravamo in vantaggio durante le partite, il primo che faceva uscire – per mettere dentro un mediano o un difensore aggiunto – ero sempre io! Ma il rispetto tra me e lui non è mai mancato, Neanche per un giorno».
GLI AMICI – Amici nel calcio? Pochi: «Avevo un feeling particolare con Cabrini e Tardelli. Mi dava fastidio chi tratteneva per la maglia, una volta diedi una gomitata a Icardi, poi con me al Verona, perchè in un Verona-Milan mi teneva: “Dammi una scarpata, piuttosto…». Ritiratosi dal calcio giocato al termine della stagione 1991/1992 dopo la retrocessione con il Verona, Fanna iniziò a lavorare nel settore giovanile della società gialloblù. Con l’arrivo in panchina di Cesare Prandelli, divenne allenatore in seconda nell’estate del 1998 e il sodalizio con l’ex tecnico della Nazionale proseguì anche a Venezia. Dal 2002 l’esperienza di campo di Pietro Fanna è conclusa. Cosa fa oggi lo ha raccontato a Bergamo post: «Mi prendo tutto il tempo che mi serve per godermi la vita e gestire le mie passioni. Ho fatto delle scelte e non sono più dentro al mondo del calcio anche se continuo a seguire tutto molto da vicino. Da circa 2 anni lavoro per la Radio Ufficiale dell’Hellas Verona, commento le partite e seguo sempre le vicende del gruppo di Mandorlini. Mi piace e mi diverto, è una bella esperienza».