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Chi è Celia Hodent, la psicologa che ha ideato Fortnite

"In un videogame ogni dettaglio è studiato in modo scientifico e poi testato da collaudatori" - ha spiegato

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Chi è Celia Hodent, la psicologa che ha ideato Fortnite Fonte: 123RF

Il successo di Fortnite è indiscutibile e, soprattutto, costante (almeno per ora): da quasi due anni, infatti, il Battle Royale firmato Epic Games coinvolge milioni di utenti, accalappiandosi il favore di star dello sport e del mondo dello spettacolo. Ma chi c’è dietro a un successo di tale portata? Tra gli sviluppatori del gioco spicca il nome di Celia Hodent, una psicologa cognitiva di origini francesi, che Donna Moderna ha recentemente intervistato.

Nel suo lungo racconto, la donna (che oggi vive a Santa Monica) confessa di aver sviluppato la sua passione per i videogiochi già all’età di due anni e che passava molto tempo davanti alla console con i suoi genitori. La dottoressa Hodent si occupa da oltre 15 anni di ‘esperienza d’uso nella messa a punto dei videogame‘ e nel 2013 è entrata ufficialmente nella squadra degli sviluppatori di Epic Games. Il suo ruolo è quello di aiutarli  “a creare giochi che siano comprensibili e coinvolgenti”.

Nell’intervista emerge l’importanza dell’aspetto psicologico nella costruzione di un buon videogioco: “È fondamentale perché qualsiasi battaglia virtuale, oltre che sullo schermo, accade anche nel cervello di chi la combatte. In un videogame ogni dettaglio è studiato in modo scientifico e poi testato da collaudatori. Un’icona che permette di acquisire un’abilità nuova è disegnata in modo che la mente intuisca subito a cosa serve. Il livello di complessità è tarato sulla capacità umana di controllare più azioni allo stesso tempo: se la sfida è troppo difficile, il giocatore si scoraggia e spegne tutto” spiega la dottoressa Hodent.

Ecco allora che la chiave del successo di questi giochi appare evidente: la loro interattività. L’utente non solo si sente coinvolto nell’azione di gioco ma ne è il protagonista attivo. Le sue decisioni scatenano delle conseguenze che lo avvicinano o allontanano dall’obiettivo. “Vincere una sfida significa iniziarne un’altra più complessa ed è questo senso di progressione che piace al cervello” ha dichiarato la psicologa.

Riguardo all’uso di Fortnite da parte dei più piccoli, ha precisato: “Allena il pensiero strategico ma alcuni meccanismi ricordano l’azzardo: ai bambini andrebbe dosato“. Nel gioco sono infatti presenti le “loot boxes”, scatole acquistabili con la valuta interna del Battle Royale, di cui non si conosce il contenuto finché non le si apre. “Una variabilità che ricorda il gioco d’azzardo e le rende irresistibili, soprattutto per bambini e adolescenti. Rispetto agli adulti hanno un cervello ancora in fase di sviluppo e un autocontrollo molto più limitato. Se sono lasciati liberi, tendono a esagerare in tutto” si legge nell’intervista.

Problema risolvibile grazie a un maggiore controllo da parte dei genitori e qualche regola in più, come suggerisce la Hodent: “Spesso si sottovaluta l’aspetto sociale dei videogame, che sono sempre più una piattaforma di aggregazione. I ragazzi non giocano da soli, ma collegati con gli amici. Dire ‘un’ora e poi spegni’ non ha senso se gli altri continuano: è come portare via un bimbo da una festa quando i compagni sono ancora lì a divertirsi. I genitori devono parlarsi tra loro per trovare una regola condivisa: per esempio, si gioca il sabato dalle 3 alle 4″.

 

HF4

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