Qui stadio a voi studio. Fotografico. E’ la sintesi della metamorfosi di Claudio Pellegrini, valente bomber degli anni 80, travolto (quasi) all’improvviso da un’insolita passione. Dai campi di calcio agli obiettivi, dagli scatti sulla fascia a quelli con le macchine fotografiche. Scopertosi valente fotografo, Pellegrini alla “giovane” età di 70 anni si è dedicato anima e cuore all’hobby che già praticava da calciatore e che ora è diventato la sua attività principale. Le sue mostre fanno il pieno di pubblico da tempo, a Tolentino come a Foligno. Trenta immagini in bianco e nero di paesaggi e ritratti. Foto malinconiche e intimiste alternati a inni alla gioia. Una full immersion nella natura vista con l’occhio sensibile e assieme incantato di un ex calciatore.
Da calciatore il romano Pellegrini ha attraversato la penisola. Prima tappa Torino, poi Novara, si scende al sud con Barletta, si risale al nord con l’Udinese dove inizia a sfondare. Lo prende il Napoli che con lui (e Krol) sfiora lo scudetto nell’81, per due anni segna 11 gol a stagione, poi il calo, la rottura con la tifoseria azzurra. Si risale al centro: Fiorentina, infine Palermo e Nola. In mezzo anche due presenze con l’Under 21.
Pellegrini come e quando è nata questa passione per le foto?
“E’ nata 45 anni fa, quando giocavo col Napoli. Avevo anche una camera oscura per sviluppare le foto. Ricordo che andavo vicino al mare o in costiera per i miei scatti, poi per la carriera ho dovuto smettere per la difficoltà di allestire ogni volta una camera oscura daccapo. Due-tre anni fa, spinto da amici e familiari, ho ripreso l’attività, l’ho affinata ed eccomi qui”.
Già due le mostre che hanno avuto successo, a Tolentino e a Foligno..
“Sì, mi piacerebbe farne una anche a Napoli che è la città che mi è rimasta nel cuore assieme a Udine. Non uso macchine fotografiche particolari, ho la mia Canon e a volte uso anche il telefonino. Il photoshop non so neanche cosa sia. Nella scelta dei soggetti non c’è un filone preciso, cerco i dettagli andando alla ricerca di qualcosa che susciti emozioni”.
C’è un soggetto che la intriga e che ancora non ha fotografato?
“Il mio sogno è entrare in uno spogliatoio di calcio dopo la partita alla ricerca di qualche particolare, chessò una scarpetta, un calzettone, una bottiglia. Ecco se potessi entrare nello spogliatoio del Napoli per fare qualche foto così sarebbe bellissimo”.
A proposito di Napoli, quello scudetto perso nell’81 resta ancora una ferita che brucia?
“Sì e no. Sì perchè eravamo primi a 5 giornate dalla fine con un calendario favorevole, no perché in quel periodo Napoli era una gioia ogni giorno, c’erano bandiere e striscioni ovunque: è come se l’avessimo vinto quello scudetto. Eravamo inferiori a Roma e Juve ma si era creato un gruppo fantastico”.
Attorno all’unico fuoriclasse Krol…
“Krol era straordinario, magari era meno sanguigno di Maradona ma anche lui incoraggiava i compagni, dispensava consigli, con me si creò un’intesa straordinaria. Marchesi, l’allenatore, con la sua saggezza sapeva trarre il massimo da tutti: davanti eravamo io, Oscar Damiani e Musella, in mezzo c’erano Vinazzani e Guidetti, sull’out sinistro c’era Marangon, che ricordi…”
Altri rimpianti nella sua carriera?
“Quello di aver smesso troppo giovane, oggi avrei affrontato diversamente lo stress delle gare”
Quando ha smesso non è rimasto nel mondo del calcio…
“Nel 2012 ho aperto una scuola calcio nelle Marche, dove vivo, ed avevamo avuto un buon successo con centinaia di iscritti, poi c’è stato il terremoto nel 2016 e la pandemia che ci hanno messo in ginocchio, con tanta gente che lasciò anche la regione. Come allenatore mi sono sempre trovato bene solo con i giovani ma nessun rimpianto”.