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Covid-19, Mattia Perin rompe il silenzio

Il portiere del Genoa, che ha avuto ben 17 giocatori risultati positivi al tampone, ha raccontato la sua esperienza e la malattia: Perin svela i momenti difficili. Dal focolaio alla questione Juve-Napoli

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“Non sono l’untore del calcio italiano”. In una frase, diretta e quasi cruda nella sua essenza, Mattia Perin esprime il senso delle sue parole a Repubblica. Il portiere del Genoa è guarito dal Covid-19, che nel suo club ha interessato ben 17 calciatori. “Era la settimana prima di Napoli-Genoa – ricostruisce il 27enne -. Il 21 settembre mi recai a Torino per rivedere mia moglie e i bambini, era un lunedì: al contrario di quanto è stato detto, non esiste alcuna evidenza che io abbia contratto il coronavirus proprio quel giorno. Il mercoledì seguente ci sottoponemmo ai tamponi, come sempre. Il risultato arrivò il giovedì mattina: tutto okay. Ma la sera avevo la febbre”.

Mattia Perin, la ricostruzione e il tema Juve-Napoli

Questa la ricostruzione data a Repubblica da Perin, che non si sente responsabile: “E perché? Questa è una malattia subdola, la puoi prendere in taxi, oppure schiacciando il bottone di un ascensore. Nella mia famiglia sono tutti negativi. La verità è che in una dozzina di ore cambia il quadro clinico, neppure gli specialisti sanno molto del Covid 19. E sia chiaro che il caos di Juve-Napoli non è iniziato per colpa del Genoa“.

Però i giocatori del Napoli, Zielinski e Elmas, sono risultati positivi dopo aver giocato quella partita e sono stati proprio i timori che anche tra le file del club partenopeo si ripetesse un caso Genoa, che divenisse in altri termini un focolaio. Queste le ragioni che avrebbero indotto Aurelio De Laurentiis e la Asl ad essere caute e a non partire alla volta di Torino. Una decisione che, per ora, ha dato come epilogo il verdetto del giudice sportivo.

Perin difende il protocollo e i calciatori: “Siamo scrupolosi”

Perin ha tenuto ad allontanare certi sospetti sulla linea di comportamento tenuta dai calciatori che, a questo punto del campionato, sono stati già così fortemente colpiti dal coronavirus: “Al contrario, siamo molto scrupolosi. Nessuno toglie la mascherina, rispettiamo regole e distanziamenti, poi è chiaro che in campo veniamo a contatto, è inevitabile. Perché è successo proprio al Genoa? Poteva accadere a chiunque. Di sicuro, se ci fossimo chiamati Real Madrid, Inter o Juventus, saremmo stati rispettati di più. Sia chiaro che la malattia non è mai una colpa, ma un’eventualità che accade agli esseri umani. Basta con i cliché del calciatore ricco, viziato, privilegiato e menefreghista, ho letto giudizi molto superficiali. Cristiano Ronaldo che si fa i selfie in mezzo ai compagni senza mascherina? Si è ammalato lui, si è ammalato Trump, vuol dire che il Covid-19 è micidiale e va preso più che sul serio”, ha detto a Repubblica.

“Siamo giovani, siamo atleti allenati e ne usciamo bene, però questa è una brutta bestia, subdola. Se dicessi che non mi ha destabilizzato un po’, mentirei. Però non c’è mai stato panico e devo ringraziare lo staff del Genoa, i dirigenti, il dottor Piero Gatto che si è ammalato pure lui e ci seguiva da casa, oltre al professor Matteo Bassetti del San Martino di Genova che ci ha fatto da angelo custode”. Ci si sente migliori, dopo il Covid-19?: “Migliori non so, diversi di sicuro. Quando si soffre, si smette di essere ragazzini”.

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